giovedì 1 marzo 2018

A che (e a chi) serve “Potere al Popolo”

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sul mio profilo Facebook il 29 dicembre 2017

L'aneddoto  
L'altra sera, ad una riunione organizzativa di PaP al momento dell'immancabile nonché articolato (lungo) e approfondito (eccessivo) dibattito, ha preso la parola un partecipante dicendo (più o meno): "Che cos'è il popolo? Chi è questo popolo? Il popolo siamo tutti, giusto? Quindi è fatto pure da quelli con l'iPhone, da quelli con la Mercedes. Vabbé, allora a questo popolo io manco una scarpa vecchia ci darei, altro che il potere. Salutiamo a tutti". 
A questo punto, il Nostro, imbocca la porta e se ne va.
 Risolta la temporanea sorpresa dei presenti, s'è passato avanti.
 
Il Sistema 
E però la questione sollevata dal partecipante, non è tanto peregrina. E, anzi, introduce perfettamente quello che vorrei dire. 
Ovvero che se il "popolo" è inteso quale complesso indistinto di individui che compongono uno Stato, l'Italia ad esempio, c'è poco da fare. Questo popolo è fatto anche (e maggioritariamente) da chi vede nel consumo ossessivo di beni (iPhone) e nella sua ostentazione (andare in giro con la Mercedes) una delle ragioni, se non la più importante, che giustificano l'accettazione del sistema economico, che è anche sociale, nel quale viviamo. La profezia di Herbert Marcuse, che già nei primi anni '60, parlava di "uomo ad una dimensione" - quella di consumatore con la sola libertà di scegliere tra i beni offerti dal mercato - così come quella di Pier Paolo Pasolini che parlava di "mutazione antropologica" del "popolo" italiano nella direzione, appunto, del piccolo
borghese consumista e sradicato, a me pare si siano avverate. 
Se non altro perché l'omologazione culturale totalizzante (e totalitaria) fissata dal Sistema capitalistico-consumistico attorno a pochi concetti quali l'individualismo, la virtualmente l'illimitata offerta di beni di consumo, la concorrenza (tra individui e non solo tra imprese), la necessità insopprimibile di ostentare simboli di benessere che qualificano chi li possiede, è un fatto. Un fatto difficilmente contestabile che attraversa tutta la società: dal sottoproletariato urbano, alle star del dorato mondo dello spettacolo. 
Credo sia talmente vero quello di cui parlo che una prova, una delle tante, sta nel fatto che chi è stato duramente colpito dalla crisi (in termini economici, quindi in termini di potere d'acquisto e quindi ha cambiato status: da consumatore in grado di soddisfare buona parte dei bisogni indotti dal sistema a individuo tagliato fuori da quel sistema o appena alle soglie) non reclama cambiamenti di sistema, non vuole né sogna mondi nuovi. Pretende invece il ripristino dello status di consumatore precedente. 
Non c'è sfiducia nel sistema capitalista-consumista. C'è sfiducia in chi lo gestisce. 
Non si contesta il sistema, ma alcuni suoi attori. 
Da qui, mi pare di potere dire, deriva quella ormai consolidata tendenza di una parte consistente di "popolo" a considerare i politici dei corrotti che curano solo i loro interessi. Ovvero gentaglia al soldo di qualche potente (banchiere nella maggior parte dei casi, non sbagliando del tutto) che cura i suoi interessi - e quelli del banchiere - a discapito degli interessi di chi è colpito dalla crisi.
 
La paura 
Da questo cambio di status (economico e anche sociale e culturale) che ha colpito in Europa e in Italia una moltitudine di individui, deriva anche la paura.
La paura del peggioramento della propria condizione per chi l'ha mantenuta e quella di continuare a sprofondare nella condizione di non consumatore (o povero se si preferisce) per chi quella condizione ha perso. 
Chi ha paura, ha paura di cosa? 
Di tutto quello di cui non si accorgerebbe nel caso il suo status fosse stato conservato: degli immigrati (che diventano invasori nonché ladri di posti di lavoro), del futuro tecnologico (che fa perdere posti di lavoro per l'automatizzazione dei sistemi di produzione), della globalizzazione intesa come "delocalizzazione" delle imprese che sottraggono posti di lavoro nel paese di origine (colpito dalla crisi), della perdita di identità causata dall’incipiente melting-pot etnico e culturale. 
Questa paura ha un risvolto politico. 
Da qualche anno assistiamo ad un progressivo ingrossarsi di formazioni politiche il cui obiettivo dichiarato è quello di fermare l'invasione degli immigrati (anche con la forza), di ripristinare il "primato" o l'"interesse" nazionale attraverso cambi radicali di politica economica che favoriscano le imprese "nazionali", di ripristinare l'identità nazionale attraverso la riscoperta delle "radici" e della tradizione e liquidare la "casta" di politici corrotti che hanno portato alla situazione di crisi attuale sostituendola con una nuova classe di veri patrioti o di individui che con quella "casta" nulla o pochissimo (e per questo quindi credibili) hanno a che vedere. 
Sono le formazioni di estrema destra che fioriscono praticamente ovunque in Europa e che in Francia, pochi mesi fa, concorrevano addirittura alla presidenza della Repubblica. O che in Italia, rappresentate dalla Lega salviniana e da tutto quello che gli sta intorno (Fratelli d'Italia, Casa Pound, Forza Nuova) si apprestano a diventare forza politica in grado di condizionare pesantemente le scelte parlamentari (che siano o meno al governo). 
Restando in Italia, anche il Movimento 5 Stelle fa parte di questo blocco di elettorato composto da chi ha "paura". E' di gran lunga più ambiguo della Lega (il recente caso dello ius culturae per cui si invocava una specie di arbitraggio dell'UE o la questione Euro sì Euro no ne sono alcune delle tante testimonianze) e non può definirsi né chiaramente né stabilmente di estrema destra. Ma questo in gran parte è dovuto al fatto che i suoi fondatori e gestori (il duo Grillo-Casaleggio) sono molto sensibili ai sondaggi e si muovono con circospezione su temi complessi (quali il razzismo, l'immigrazione, le relazioni internazionali, ecc.) preferendo il profilo basso su questi e insistendo invece molto sulla "onestà" e sul buon governo contrapposto alla corrutela e al mal governo che caratterizza gli altri partiti (tutti gli altri, beninteso). 
 
La fiducia 
Accanto a chi, colpito dalla crisi ha paura, c'è anche chi dalla crisi e dall'impoverimento è stato solo sfiorato o per nulla toccato, ha conservato il suo status di consumatore ottimale e considera la crisi un accidente di percorso del lungo cammino di progresso che il Sistema capitalistico consumista incontra inevitabilmente di tanto in tanto. 
La risposta alla crisi è quindi quella di "aggiustare" il percorso del Sistema con piccoli (e pure grandi) e mirati interventi chirurgici che ne limitino i danni e facciano dispiegare invece tutte le potenzialità che il Sistema offre. La crisi mondiale, dice il “popolo” liberista e fiducioso, del 2008 che attanaglia l'Italia da poco dopo è amplificata, rispetto ad altri paesi, da un assetto istituzionale "vecchio", da una burocrazia opprimente, da un tessuto economico (che
coinvolge imprese, lavoratori e sindacati) non all'altezza delle sfide di modernità e da un sistema di formazione complessivamente non in linea con quello che il "mercato" (cioè il Sistema) pretende. 
Il Jobs Act, lo svuotamento dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il pareggio di bilancio in Costituzione o la (fallita) riforma costituzionale che mirava a "snellire" le procedure legislative in favore di una maggiore autonomia dell'esecutivo (che diventava allo stesso tempo organo legiferante e di governo nella pratica anche se non nella lettera) sono tutte misure volte a rendere "moderno" e “competitivo” internazionalmente l'intero apparato che va sotto il nome mediatico di "Sistema Italia". 
Il PD, Forza Italia e i tanti partiti centristi (Liberi e Uguali compreso) che sono sulla scena politica italiana, danno rappresentanza e sono coerenti con le attese che il "popolo" della cultura del capitalismo-consumista chiede e si attende. Ne sono interpreti e ispiratori allo stesso tempo. 
Le differenze tra questi partiti sono, come dire?, sfumature. 
Di stile più che di sostanza.
 
La sfiducia 
Esiste un altro blocco di "popolo" accanto a quelli della paura e della fiducia. E' un popolo estremamente variegato nella sua composizione e che si manifesta agli appuntamenti elettorali principalmente. E' il popolo o il partito dell'astensione. 
La sua composizione en gros a me pare la seguente. 
In primis la componente del sottoproletariato urbano. Tradizionalmente questa componente è poco partecipativa politicamente e per nulla definita ideologicamente. E, specie nel sud Italia, si è sempre mobilitata attraverso il voto di scambio (moneta contro voto, principalmente, per essere chiari). Mancando (per mille ragioni) la merce di scambio mancano i voti e aumenta l'astensionismo. 
Una seconda componente è data da quanti sono, indipendentemente da qualunque cosa accada, impermeabili alla partecipazione politica. Semplicemente ignorano la politica. E continueranno a farlo. 
Una terza componente, che alcuni studiosi considerano la componente crescente, è data dagli "sfiduciati", dai delusi. E' un blocco ideologicamente variegato ma unitario nell'azione (l'astensione elettorale). Ci stanno dentro ex centristi democristiani che detestano il berlusconismo e le sue varianti (renzismo). Ci sono ex militanti ed elettori dei partiti di massa di sinistra che non si sono riconosciuti né nelle varie evoluzioni del Pci (Pds, Ds) né in quella finale che ha visto la nascita del Pd. 
Ci sono individui che vorrebbero il ritorno del Duce e siccome non ne vedono individui all'altezza di quello che fu, non si mobilitano. 
E ci sono quelli che vorrebbero qualcosa ma non sanno cosa. 
Molti nuovi partiti in Italia puntano proprio su questo "popolo" per ottenere il successo desiderato. Anzi, praticamente tutti lo corteggiano offrendogli qualunque cosa possa farli tornare a votare (per loro).
 
L'attesa 
In fine, alla fine di tutto, numericamente e culturalmente, c'è il "popolo" della sinistra senza partito. Quelli che aspettano che succeda qualcosa di significativo e che non sono rassegnati. Qui, in questa terra desolata e semiabitata, ben peggio che altrove, regna il caos. Ogni testa un tribunale, ogni gruppo una verità. Spesso in polemica accesa tra loro al limite della lite vivono anarchici, comunisti (di quasi ogni credo), socialisti (residui lombardiani per lo più), ambientalisti movimentisti, cristiani che più che al pensiero di Don Sturzo di rifanno a quello di Marx, ecc. E però, divisi fino all'esasperazione, hanno un legame tra essi che pare indistruttibile. E' un legame che è ispirato da alcune idee base, che hanno fatto da sempre la sinistra con o senza Marx. La solidarietà (non la carità, quella è un'altra cosa) verso gli ultimi, l'idea che la giustizia sociale non sia un modo di dire ma una esigenza collettiva e che questa sia la sola garanzia a che le libertà degli individui siano reali e non formali, la ripugnanza verso ogni forma di discriminazione, il ribrezzo verso ogni forma di fascismo (ivi compreso quello liberista cioè quello del capitalismo consumista) e la convinzione che il destino dell'umanità possa essere diverso, migliore, rispetto a quello prospettato da Marcuse o Pasolini.
 
Potere al Popolo 
É questo il "popolo" di Potere al Popolo. É a chi lo compone che si è rivolto l'appello di qualche settimana fa del collettivo napoletano di "Je so' pazzo" e che sta riscuotendo un certo successo in parecchie parti d'Italia. E' un tentativo nuovo rispetto alle esperienze precedenti di unificazione del "popolo" di sinistra. E' nato da chi nelle piccole (e grandi) realtà locali vive e opera facendo volontariato, cultura, creando condizioni di vivibilità laddove scarseggiano. Ed è un tentativo duplice. Quello di ricostruire un tessuto diffuso di sinistra operante sul territorio coi fatti e quello di non rinunciare a rappresentare in Parlamento questo "popolo". 
Il programma politico di PaP non è rivoluzionario. 
É, dal punto di vista strettamente tecnico, un programma socialdemocratico: rinazionalizzare i settori industriali strategici, tornare a far fare allo Stato non un regolatore di ultima istanza del mercato ma un agente di intervento economico in difesa dei più deboli, ripristinare le protezioni sociali e collettive snaturate o distrutte da 30 anni di liberismo, avviare una nuova fase di europeismo e mondialismo che ridefinisca alla radice gli accordi internazionali che impongono il liberismo e, naturalmente, molto altro ancora. 
Eppure, nelle condizioni date di liberismo imperante e fascismo riaffiorante, il programma di Potere al Popolo è autenticamente rivoluzionario. E' il tentativo più genuino di organizzare, intanto, una resistenza comune contro il nemico (non l'avversario, proprio il nemico) liberista e fascista con una rappresentanza elettiva e, allo stesso tempo, il tentativo di presidiare il territorio con una rete che colleghi tutti coloro che si sentono parte della sinistra e che. intendono rafforzare o creare realtà operative nei settori più diversi (salute, cultura, istruzione). É quello che PaP chiama mutualismo (e che fu, più di un secolo fa, la chiave del successo dei partiti socialisti europei). 
E' un progetto e un programma allo stesso tempo dunque l'obiettivo di PaP. Forse debole, forse irrealistico, forse strutturalmente difficile da portare avanti, ma è qualcosa di serio. Di nuovo. Che dovrebbe godere prima di tutto del rispetto di chi si professa di sinistra e poi, possibilmente, del suo sostegno.
 
In conclusione 
A che e a chi serve Potere al Popolo, dunque? 
Serve subito, entro marzo cioè, a creare una trincea parlamentare. Un argine al montare nero e funereo del neo fascismo sotto altri nomi e al liberismo populista e non. Serve avere qualcuno in Parlamento che sostenga le battaglie locali e nazionali di civiltà con assoluta convinzione. 
Serve una opposizione parlamentere di sinistra, in altre parole, il più possibile numericamente incisiva che rallenti, ostacoli, boicotti in ogni modo le tragiche politiche liberiste e similfasciste che si prospettano. 
Serve a chi ha aspettato e non si è però rassegnato. 
A chi ha sperato di tornare ad avere un punto di riferimento politico e sociale. 
Serve a chi ha intenzione di impegnarsi nelle realtà locali per migliorare la vita di chi ci abita. 
Serve a chi non si rassegna ad essere un "uomo ad una dimensione". 
Serve, quindi, anche a chi non è di sinistra. Serve a chi ha a cuore la democrazia in questo paese.

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