domenica 3 aprile 2016

Le effimere pene di Renzi e il calcolo politico di Grillo

E' un brutto periodo per il conducator renzifonzi.
Ma passerà.
Da qualche mese ormai lui e il suo governo si trovano davanti ostacoli difficili da saltare che ne rallentano la corsa  verso il luminoso avvenire che le riforme -  fatte e promesse - dovrebbero garantire.

La rachitica crescita del Pil, al solito costantemente rivista al ribasso del già basso, non ha subito alcuna influenza dalla famosa misura degli 80 euro che avrebbe dovuto rilanciare i consumi di miliardi di italiani "medi". Oramai l'unica cosa che si ricorda di quel provvedimento è che si trattò di una mancia elettorale, dagli esiti positivi (per lui), comunque, visto che fece vincere il Pd alle europee col 40%.

La riforma del diritto del lavoro, con il job act, dopo un anno di trombe a festa che indicavano il successo delle misure che hanno riportato il libero licenziamento in Italia dopo un cinquantennio, sta fallendo miseramente visto che l'Istat ci comunica il crollo delle nuove assunzioni a partire dal gennaio di quest'anno. Semplicemente perché le regalie (gli sgravi fiscali) alle imprese che assumevano si sono ridotte e il prossimo anno cesseranno del tutto (prevedibile ondata di licenziamenti).

Sul fronte europeo continuano i tira e molla con la Commissione per quanto riguarda la legge di stabilità; tra qualche settimana dovremo sapere se il giudizio sospeso a novembre si trasformerà in una bocciatura o in una promozione (totali o parziali). E continuano anche le diatribe sull'accoglienza degli immigrati e sulla loro dislocazione. Ormai siamo in primavera, il tempo migliora e fra poco torneranno massicci i barconi e gli sbarchi, prevedibile un altro temporeggiare molto polemico e un nulla di fatto.

Sul versante internazionale renzifonzi non perde occasione per farsi selfie in ogni parte del mondo con amici e fan e per rivendicare che solo grazie a lui l'Italia ha ritrovato il posto che le compete nel consesso mondiale. Non si può negare il suo attivismo e la sua tenacia. Si può invece negare che questo suo attivismo stia producendo un qualunque risultato misurabile che non siano contratti per imprese. Ma, insomma, non è che Letta, Prodi o Berlusconi fossero meno capaci di lui di fare contratti con l'Egitto, la Libia (quando esisteva ancora) o le petromonarchie mediorientali.

Per quanto riguarda la politica interna propriamente detta le nuove equivoche amicizie necessarie alla sopravvivenza di questo "governo costituente" con i verdini indagati e ammaccati non garantiscono una duratura stabilità. Il gruppo verdiniano è un gruppo di democristiani pronti a tutto pur di salvare loro stessi. Come hanno abbandonato berlusconi potranno abbandonare verdini, e renzifonzi, se dovesse essere utile e necessario. Si cammina nella palude e il conducator lo sa benissimo e, infatti, si muove con circospezione, ma sempre di vita dura si tratta.

Se a tutto questo si aggiungono gli scandaletti legati alle leggine più o meno "ad personam" per parenti e amici di ministri e ministresse - tipo papà boschi e fidanzato gemelli - il quadro, a prima vista, dovrebbe molto preoccupare il nostro salvatore della patria.

Il quale, in effetti, sembra avere avuto in questi giorni una crisi di nervi tanto da volere querelare il grillo nazionale perché ha insultato il buon nome del Pd e dei suoi straordinari militanti. La cosa appare sciocca e controproducente perché se si dovesse davvero andare a giudizio nessun giudice savio potrebbe dare ragione a renzifonzi condannando grillo per una polemica politica del tutto insignificante. E infatti la crisi di nervi di renzifonzi non è dovuta agli attacchi grillini. E' dovuta a tutto quello che si è detto prima, cioè una sequela di fallimenti e al rischio, serio, che ad ottobre, cioè quando ci sarà il referendum costituzionale sulla riforma della madre della patria boschi, vinca il no certificando così la fine del suo governo e, si spera, anche della sua carriera politica (visto che ha promesso che se perde "va a casa").

Tutto sommato però, a ben vedere, la situazione non è così preoccupante per il conducator. Lui è un uomo che ama il rischio, il rialzo della posta ogni volta che si può, insomma un audace. E la fortuna aiuta gli audaci.
Se sta lì, al governo, da due anni è perché è stato un audace a partire dalla defenestrazione di letta junior. La sua maggior forza è la debolezza degli altri. Davanti a sé non ha una opposizione compatta, una forza alternativa alla sua in grado di prenderne il posto. Davanti a sè - in Parlamento ma anche nel paese - ha truppe sbandate (Forza Italia), drappelli di inferociti leghisti numericamente trascurabili, Fratelli e sorelle d'Italia in crisi familiare, una Sinistra (ex Sel, ex minoranze piddine) in perenne psicoterapia e dalla potenza d'urto pari a quella di un morto e una forza di opposizione compatta sì, ma ancora guardata con sospetto da buona parte dell'elettorato (il M5S), che vive di errori altrui più che di virtù proprie.

Questa situazione generale è, mi pare, assai favorevole al conducator.
Il quale invece ha dalla sua il suo carisma per dominare totalmente un "non-partito" come il piddì e una platea mediatica mainstream che riesce a convincere e rassicurare con facilità visto che questa platea è organicamente renziana e lo è da prima di renzi (leggasi democristiana-centrista-liberista).
La forza di renzi è che non c'è, agli occhi di quella parte di elettorato maggioritaria che si astiene, una alternativa a renzi. Costui in parlamento vive di alleanze effimere ma salutari basate sul "divide et impera" e nel paese è accettato come il male minore da chi non lo appoggia oppure come l'unico che ha le idee chiare (cosa vera questa) sul da farsi.
Pertanto se, come promesso, il M5S la prossima settimana porterà in Senato la mozione di sfiducia al governo il rischio che questo cada è contenuto. I numeri per affossarlo non mancherebbero, ma nessuno vuole andare ad elezioni anticipate adesso con il "Consultellum" (l'Italicum entra in vigore il primo luglio e vale solo per la Camera).

Paradossalmente quelli a cui non conviene andare ad elezioni adesso sono proprio i grillisti.
Questi qua puntano al governo, non vogliono stare ancora all'opposizione. E l'unico modo per andare al governo è la legge elettorale e annessa riforma costituzionale di renzifonzi.
Con quella legge elettorale, astensionisti o meno, andrebbero di sicuro al ballottaggio con il piddì renziano e, a quel punto, è un terno al lotto: non è detto che vinca renzi. Perdippiù con una Camera di nominati e un Senato inutile tutto sarebbe più facile per il duo grillo-casaleggio.
Perché dunque interrompere proprio adesso la difficile vita del governo renzi?
L'audacia renziana e il calcolo politico grillista continueranno a sostenere questo governo.
Almeno fino ad ottobre. Non si avranno molte sorprese adesso, credo, nemmeno con il referendum sulle trivellazione e neppure con una vittoria grillista a Roma cosa che è nell'aria, ma le prossime politiche saranno davvero entusiasmantissime quando molti di noi si troveranno a dovere scegliere tra renzifonzi e casalgrillo.

martedì 16 febbraio 2016

Verso l’oligocrazia: la riforma costituzionale del governo Renzi

 
Visti i tempi che viviamo, vale la pena tornare su argomenti già trattati, non tanto per ripetersi, quanto per evitare che quel poco di attenzione che sopravvive in alcuni per questioni fondamentali che attengono alla vita di tutti i cittadini di un paese si riduca o addirittura venga meno.
Tornerò quindi sull'argomento delle "Riforme costituzionali" con la certezza di ripetermi (vedi qui) e di ripetere cose dette da altri anche meglio di come le dico io ma con la stessa certezza che è meglio ripetersi e ripetere piuttosto che fare finta di niente.
 
Il divieto di mandato imperativo
 
Oggi vorrei prendere a pretesto - per parlare male della riforma di Renzi e soci - il divieto di mandato imperativo che la nostra attuale Costituzione garantisce. 
Io, per principio, sono contrario al mandato imperativo (o vincolo di mandato che dir si voglia). 
A mio modo di vedere un sistema è democratico se è basato sulla libera rappresentanza. E un sistema democratico di questo genere non può costringere un eletto a rispettare sempre e comunque né le indicazioni del partito nelle cui file è stato eletto né, eventualmente, il programma di questo, né - se non è stato eletto con un partito - il programma o le promesse che ha fatto agli elettori del suo collegio. 
Ci sono tante ragioni per sostenere questa opinione e tutte affondano le radici nella storia almeno a partire dall'epoca di Sieyès. 
Una di quelle che trovo più ragionevoli è questa: le assemblee elettive e universalmente rappresentative sono il luogo massimo della discussione, del compromesso e della mediazione. 
Lo scontro politico non è uno scontro militare nel quale vince chi ha più armate o è più strategicamente capace. In teoria - ma anche nella pratica - lo scontro politico, nel caso della democrazia rappresentativa, si risolve nella mediazione di posizioni differenti se non opposte. 
Ma se c'è mediazione e compromesso allora le posizioni iniziali cambiano e se cambiano vuol dire che deve esistere libertà di cambiare. Può cambiare la posizione di un partito, ovviamente, ma può e deve cambiare anche la posizione di un singolo eletto.  
 
Alcune condizioni per potere parlare di democrazia rappresentativa 
 
Tutto questo è vero però se esistono certe condizioni e, almeno, le seguenti:
  1. il numero degli eletti in una assemblea legislativa è sufficientemente alto da rappresentare tutti gli interessi che esprimono i membri una comunità;
  2. gli eletti non debbono essere sottoposti a nessuna influenza (minacce e corruzione in primis) e il loro cambio di opinione su questioni singole o su un complesso di questioni deve essere frutto del loro libero ragionare;
  3. il governo non può (salvo casi specifici) legiferare al posto dell'assemblea rappresentativa.
Ora, purtroppo, le moderne democrazie rappresentative stanno andando tutte in una direzione che nega questi tre elementi per me sostanziali. Peraltro alcuni paesi, ad esempio gli Usa, sono già da tempo fuori da questi parametri e pertanto, per quanto mi riguarda, non sono democrazie. 
Comunque, torniamo all'Italia. 
Qui la riforma costituzionale ed elettorale del governo Renzi va esplicitamente e convintamente nella direzione opposta a quella dei principi prima ricordati: riduce il numero di parlamentari, rafforza enormemente l'esecutivo con una legge elettorale che trasforma una minoranza di elettori in una maggioranza parlamentare schiacciante agli ordini del partito vincitore e riduce la libertà degli eletti in quanto costoro vengono inseriti nelle liste delle varie circoscrizioni a partire dalle decisioni dei vertici di partito. In questo modo gli eletti sono "minacciati" di non essere rieletti, cioè ripresentati nella lista, se non si attengono alle direttive che il partito o il leader carismatico del partito impartisce.
 
Partiti monocratici, lobbies e paure 
 
Ma c'è di più. 
Oggi i partiti, almeno quelli maggiori, tendono a diventare "monocratici" (se non lo sono già) cioè mancano di una struttura sul territorio in grado di controllare il vertice. E' il vertice del partito che controlla tutto e decide tutto. 
Il che significa che se qualcuno esterno dovesse in qualche modo riuscire a controllare il vertice del partito che vince le elezioni di un paese (ad esempio con minacce o con denaro o con entrambe le cose) di fatto controllerebbe quel paese. 
A questo occorre aggiungere che il grado di permeabilità ad interessi economici corposi (lobbies) dei partiti e quindi delle assemblee legislative è sempre maggiore. 
Lo vediamo negli Usa dove si possono candidare alla Presidenza o al Senato o al Congresso, nella maggioranza dei casi, solo benestanti generosamente finanziati da soggetti privati e lo vedremo presto in Italia dove il finanziamento pubblico dei partiti si sta riducendo sempre più per lasciare spazio al finanziamento privato "volontario". 
In casi come questi gli eletti non rispondono agli elettori, ma ai finanziatori. Naturalmente non sono solo i soldi ad influenzare leader, partiti, elettori e candidati. 
Possono essere mille altre cose. 
Ad esempio la paura sociale (dell’immigrato musulmano, dell’ebreo, del sovversivo, ecc.) che si trasforma in violento nazionalismo di massa (come successo già) oppure il carisma di un leader mezzo pazzo che affascina le masse (s'è verificato pure questo) e altro ancora. 
L’elemento dunque della permeabilità del partito monocratico agli interessi economici organizzati o alle paure di massa deforma completamente la struttura di una “democrazia” lasciando il posto ad un suo simulacro che non è più controllato dagli elettori (e, prima, dagli attivisti di partito se esistono) se non formalmente e, quindi, per nulla controllato. 
Nel migliore dei casi ci si troverà davanti una oligocrazia e nel peggiore una autocrazia.
 
Ripristinare il mandato imperativo 

Stando così le cose, come si vede, il divieto di mandato imperativo, è stato aggirato e perciò ripristinato di fatto anche se non di diritto.
E su questo equivoco, sulla finta libertà dell’eletto, viene di fatto instaurato un nuovo regime che democratico e rappresentativo non è più.
Gli eletti, pagati da qualche gruppo finanziario potente oppure minacciati dal vertice del partito, hanno una autonomia parlamentare ridotta se non nulla. Di per sè, in queste condizioni, è perfino inutile pure avere un Parlamento. Anzi è una spesa superflua che va tagliata.
 In un sistema del genere basterà eleggere un solo capo, una volta ogni tot anni, e deciderà lui cosa fare, come, con chi e per chi.
Se piace verrà rieletto, se non piace si cambia (ma non è detto che si possa cambiare più, comunque).
Ecco, io penso che una riforma della Costituzione come quella del governo Renzi sia un passaggio intermedio che ci condurrà verso una oligocrazia o una autocrazia da qui a qualche anno.
Una riforma autoritaria nello spirito e nei fatti che lascerà pochissimi margini di autonomia alle assemblee rappresentative e che produrrà un altro Stato, l'ennesimo, governato da potentati economici abbastanza poco democratici e poco attenti agli interessi comuni.
Una oligocrazia, insomma.
Se va bene.
Perché c'è pure il rischio che vada male e che arrivi al potere qualche invasato megalomane che, peraltro, già circola in questo paese (e anche in altri veramente), cioè una autocrazia.
A questo punto, se così si metteranno le cose, credo che dovrò cambiare atteggiamento rispetto al vincolo di mandato.
Probabilmente il divieto di mandato imperativo va abolito.
Abolendolo, almeno in teoria, si avrà la soddisfazione (nient'altro che morale ma almeno quella ci sarebbe) di votare qualcuno cui si chiede di attenersi solo ed esclusivamente alle indicazioni che riceve dal suo elettorato e se non lo fa decade.
Per cui uno potrà votare un tizio che punta allo smantellamento della nuova Costituzione autocratica con la buona speranza di vedergli fare quello che ci si aspetta.
In alternativa, con molta probabilità, si potrà godere lo spettacolo della fucilazione pubblica e in diretta tv del dissidente che, in tempi di spettacolarizzazione mediatica spinta, sarebbe un buon diversivo alla routine televisiva cui ci siamo abituati.

Votate no al referendum (se ci sarà).
http://coordinamentodemocraziacostituzionale.net/