sabato 21 aprile 2018

IL RITORNO DI MENENIO AGRIPPA. OVVERO DEL CORPORATIVISMO 2.0

La menzogna
Come diceva Goebbels? Che a forza di ripetere una bugia quella diventa una
verità? Ecco, a me pare che nell'epoca politica in cui viviamo - non solo in Italia - stia trionfando o abbia trionfato la menzogna. Per essere più preciso mi riferisco alla menzogna - ripetuta in Italia dalla Lega e dai 5stelle o in Francia da Macron - secondo la quale la Destra e la Sinistra siano categorie superate, vecchie e inutilizzabili. L'unica che può essere utilmente usata è la categoria del "fare bene" per il "popolo".
E' la teoria secondo la quale la politica agisce in base ad una forma di "bene comune" immediatamente percebibile da chiunque: riparare le buche e togliere la spazzatura regolarmente dalle strade, non posteggiare in seconda fila, curare i giardini pubblici, mettere in galera i ladri e buttare la chiave, abbassare le tasse sempre e a tutti, usare lo Stato per risolvere i problemi dei privati e onesti cittadini che lavorano duramente e non arrivano a fine mese, ecc.Tutte queste, come amano ripetere alcuni, non sono cose di destra né di sinistra: sono cose di "buon senso".
In questa prospettiva, in effetti, non c'è bisogno di distinguere tra destra e sinistra, perché la distinzione è semplicissima e si misura in base alla capacità che hanno i partiti e i loro rappresentanti di risolvere un problema (le strade sfossate ad esempio: se dopo un tot di tempo la strada continua ad essere impraticabile l'amministratore/politico è inefficiente, altrimenti no). Il criterio che distingue gli uni dagli altri è dunque l'efficienza del singolo o del partito/movimento cui appartiene rispetto ad un altro. L'efficienza, va da sé, è un criterio giudicato assolutamente indiscutibile, autoevidente, lapalissiano e mira ad assicurare a "tutti" uno standard di vita pubblica (e privata) considerato, nel famoso immaginario collettivo e quindi per questo fumoso e indefinito, adeguato ai tempi che corrono, ovvero moderno, ovvero da "paese normale".

Il vecchissimo che passa per nuovissimo
L'idea che sta alla base di questo pensiero - tanto elementare quanto intellettualmente disonesto se veicolato da qualcheduno meno analfabeta di altri - è che in una società non esistano, non siano mai esistiti e non possano esistere, interessi confliggenti tra classi sociali (o anche ceti e perfino categorie). Le divisioni, ovviamente, ci sono. Quello che si nega è che queste divisioni possano essere usate per le scelte politiche. La logica è che ciascun individuo, ciascuna classe, collabora con gli altri e le altre per un "superiore" bene comune collettivo: quello di tutto il "popolo".
Non vi sa di più vecchia, molto più vecchia e retrograda, questa interpretazione della politica rispetto a quella di destra e sinistra? Non vi ricorda niente e nessuno? Vediamo se con una citazione va meglio:

           «C'è stato un tempo in cui le membra dell’uomo, constatando 
             che lo stomaco se ne stava ozioso ad attendere cibo, mentre 
             loro faticavano non poco per portarglielo, decisero che le mani 
             non portassero cibo alla bocca, che la bocca, eventualmente, lo
             accettasse, che i denti, eventualmente, lo masticassero. Successe
             però che mentre operavano così per domare lo stomaco si
             indebolirono esse stesse e l'intero corpo giunse a deperimento
             estremo. Da qui si mostrò che lo stomaco non è un pigro ma 
             colui che dispensa e distribuisce a tutti il cibo che riceve sotto 
             altre forme. Le membra tornarono quindi in amicizia con lui e
             ripresero come prima.
             Ecco, amici, allo stesso modo patrizi e popolo, come fossero 
             un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia
             rimangono in salute.»

E' l'apologo di Menenio Agrippa, senatore romano, che la leggenda dice egli pronunciò - cinquecento anni prima di Cristo - alla plebe romana parecchio incazzata per le crescenti pretese e i privilegi smisurati che i patrizi accumulavano a sue spese.
La fine è nota.
La plebe, convinta da Menenio, tornò a fare la plebe servile e il patriziato a servirsi di essa per molti altri secoli.
Perché per molti, moltissimi altri secoli, questa interpretazione della società restò dominante. Con le buone e anche con le cattive. E' l'interpretazione organicista, o corporativa, della società umana.
Non ci sono servi e padroni, né sfruttati e sfruttatori, né privilegiati ed emarginati. Non ci sono perché tutti, ciascuno per la sua parte, collabora acché tutto il corpo, cioè tutto il "popolo", stia in buona salute.
Non ci vuole molto a capire che si tratta di una interpretazione della società, ancora prima che falsa, fondata su alcuni concetti primitivi. E cioè sulla gerarchia sociale naturale basata sulle capacità che ha ogni individuo (per cui emerge chi è meglio dotato), sull'immodificabilità della sua struttura che è eterna, sulla necessità storica che debbano esistere diseguaglianze e differenze anche profonde tra individui e classi di individui perché proprio queste assicurano la buona salute a tutto il popolo.
C'è solo un problema in questa interpretazione della società. Ed è un problema grande come una casa. E cioè che questo modello non distribuisce benessere a tutto il "popolo" ma solo ad una parte di esso: a quella più ricca. E, quel che lascia senza parole, è che lo fa sfacciatamente.
Succedeva coi patrizi e con la plebe romana, succedeva coi feudatari e coi servi della gleba medievali e succede adesso con quella porzione di capitalisti ultra ricca e ultra potente che domina il pianeta e con tutto il resto della popolazione che subisce le loro decisioni, i loro capricci, le loro speculazioni, i loro privilegi di cui mai si saziano.
Negare, come fanno i corporativisti di oggi questo stato di cose, non è negare l'evidenza: è agire in maniera goebbelsiana. Ripetere menzogne per farle passare per verità.


Il Corporativismo ai tempi dell'iPhone
Il corporativismo moderno, cioè quello rinato tra l'ottocento e il novecento, ha tre filoni principali. Quello nazionalista, fondato sul concetto di popolo come unità di sangue eterna tra individui. Quello cristiano fondato sull'unità del "gregge" che segue gli insegnamenti dei suoi "pastori". Quello fascista fondato sull'idea di Stato che risolve in sè ogni frattura, ogni divisione, ogni conflitto sociale attraverso la collaborazione (forzata se del caso, ed è il caso) tra le varie classi.
Più recentemente, diciamo a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si è aggiunto il corporativismo liberista.
Questo - non credente ma laico se non ateo, non nazionalista e non fascista - si distingue dagli altri per l'idea secondo la quale non c'è alternativa ad un sistema fondato sul mercato, sulla sua  autoregolazione, sulla gerarchia naturale delle classi e degli individui che, attraverso l'impegno e il duro lavoro delle classi dominanti prima di tutto, assicura il meglio possibile a tutti.
E' il capitale, la sua impresa, al centro di questa ideologia: la libera iniziativa imprenditoriale assicura il lavoro; la libera circolazione di merci e di forza lavoro assicura i prezzi migliori a parità di prodotto; il rispetto della eterna legge della domanda e dell'offerta garantisce l'efficienza, l'ottimo per tutti. Al contrario lo Stato, se dotato di iniziativa economica, assicura inefficienza, disonestà, lungaggini burocratiche e, alla fine, morte distruzione e disperazione. Il solo compito dello Stato è garantire l'efficienza del mercato con piccoli ritocchi qua e là quando occorre e una giusta dose di paternalismo verso i cosidetti "meno fortunati" assicurando loro, laddove strettamente necessario, quel minimo di vettovagliamento, di vestiario, di istruzione, di beni di consumo e di reddito perché non produca danni al Sistema.
La fine della società basata sull'industria fordista - che alimentava il successo dei partiti di massa di sinistra - e l'avvento della società terziarizzata del benessere diffuso e del consumismo compulsivo ha prodotto da un lato il declino dei partiti di sinistra sempre meno capaci di capire (almeno a livello di dirigenti) quello che stava succedendo e il risorgere, sempre più potente, dell'ideologia corporativista. Specie di quella nazionalista e di quella liberista. E' accaduto praticamente ovunque ed è accaduto, pur con qualche lentezza, anche in Italia.

Qui. Ora.
Il recente risultato delle elezioni italiane ha fotografato in pieno questo stato di cose.
D'altra parte sono decenni che i partiti fanno a gara su chi è più corporativista.
Berlusconi, per tenerci sul recente, ha fondato la sua prima, vittoriosa, campagna elettorale con la propaganda secondo cui era operaio, imprenditore, attore, casalingo. Era il "tutto" che assicurava a tutti libertà e benessere. Il corporativista liberista.
La Lega, poco prima, ha negato l'esistenza dei conflitti di classe fondando il suo successo sull'idea di territorio e di popolo (padani, come il Grana), cioè di nazione. Oggi, grazie ai buoni uffici del giovane rampante Salvini, la Lega (non più "nord") ha abbandonato l'opzione padana e si è concentrata su quella più redditizia italica. Ma sempre corporativismo nazionalista è e resta.
Il Partito democratico, volendo fondere il corporativismo cattolico e quello liberista, ha cercato una "terza via" che però, siccome non esiste, ha finito per fare trionfare il corporativismo liberista (la recente questione del Partito della Nazione, tirata fuori da Renzi qualche tempo fa, né è la prova più evidente).
E, infine, abbiamo il corporativismo a cinque stelle, che è corporativismo liberista con più accesi colori paternalisti (il reddito di cittadinanza o come si chiama) e moralistici ("onestà, onestà, onestà").
Tutti questi corporativismi hanno differenze tra loro. Ma tutti condividono l'impostazione di fondo di una società orgnicista fondata sul modello di Menenio Agrippa.
Le differenze sono di poco conto e sono per lo più confinate ad elementi personalistici. Ma l'elemento comune, la visione del mondo secondo una logica organicista, quello è un elemento unificante, assolutamente potente e in grado di metterli d'accordo tutti. Non esistono più partiti anti "sistema", piuttosto esistono partiti con differenti valutazioni sul "sistema".
Quel che c'è va benissimo, occorre solo qualche aggiustamento.
E' per questo motivo che mi trovo tranquillo e, a tratti disinteressato o divertito, (come moltissimi altri a dire il vero), circa quello che succede a livello politico in questo paese.
Questi qua - sedicenti democratici, fascioleghisti, onestissimi cinquestellisti, satrapi berlusconiani - non possono che andare d'accordo; non possono che mettersi d'accordo per il superiore bene del "popolo" che non arriva a fine mese o che ci arriva e torna indietro.
Che ci siano di mezzo i vari Renzi, Salvini, Di Maio, Berlusconi è un dettaglio dell'industria dello spettacolo nella quale siamo immersi, sono solo nomi. Etichette da mettere (e cambiare all'occorrenza) su barattoli che hanno lo stesso contenuto e che è desiderato, prima di tutto, dall'elettorato.
Che vuole le strade senza buche, i ladri in galera, l'iphone e poco altro.

giovedì 1 marzo 2018

A che (e a chi) serve “Potere al Popolo”

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sul mio profilo Facebook il 29 dicembre 2017

L'aneddoto  
L'altra sera, ad una riunione organizzativa di PaP al momento dell'immancabile nonché articolato (lungo) e approfondito (eccessivo) dibattito, ha preso la parola un partecipante dicendo (più o meno): "Che cos'è il popolo? Chi è questo popolo? Il popolo siamo tutti, giusto? Quindi è fatto pure da quelli con l'iPhone, da quelli con la Mercedes. Vabbé, allora a questo popolo io manco una scarpa vecchia ci darei, altro che il potere. Salutiamo a tutti". 
A questo punto, il Nostro, imbocca la porta e se ne va.
 Risolta la temporanea sorpresa dei presenti, s'è passato avanti.
 
Il Sistema 
E però la questione sollevata dal partecipante, non è tanto peregrina. E, anzi, introduce perfettamente quello che vorrei dire. 
Ovvero che se il "popolo" è inteso quale complesso indistinto di individui che compongono uno Stato, l'Italia ad esempio, c'è poco da fare. Questo popolo è fatto anche (e maggioritariamente) da chi vede nel consumo ossessivo di beni (iPhone) e nella sua ostentazione (andare in giro con la Mercedes) una delle ragioni, se non la più importante, che giustificano l'accettazione del sistema economico, che è anche sociale, nel quale viviamo. La profezia di Herbert Marcuse, che già nei primi anni '60, parlava di "uomo ad una dimensione" - quella di consumatore con la sola libertà di scegliere tra i beni offerti dal mercato - così come quella di Pier Paolo Pasolini che parlava di "mutazione antropologica" del "popolo" italiano nella direzione, appunto, del piccolo
borghese consumista e sradicato, a me pare si siano avverate. 
Se non altro perché l'omologazione culturale totalizzante (e totalitaria) fissata dal Sistema capitalistico-consumistico attorno a pochi concetti quali l'individualismo, la virtualmente l'illimitata offerta di beni di consumo, la concorrenza (tra individui e non solo tra imprese), la necessità insopprimibile di ostentare simboli di benessere che qualificano chi li possiede, è un fatto. Un fatto difficilmente contestabile che attraversa tutta la società: dal sottoproletariato urbano, alle star del dorato mondo dello spettacolo. 
Credo sia talmente vero quello di cui parlo che una prova, una delle tante, sta nel fatto che chi è stato duramente colpito dalla crisi (in termini economici, quindi in termini di potere d'acquisto e quindi ha cambiato status: da consumatore in grado di soddisfare buona parte dei bisogni indotti dal sistema a individuo tagliato fuori da quel sistema o appena alle soglie) non reclama cambiamenti di sistema, non vuole né sogna mondi nuovi. Pretende invece il ripristino dello status di consumatore precedente. 
Non c'è sfiducia nel sistema capitalista-consumista. C'è sfiducia in chi lo gestisce. 
Non si contesta il sistema, ma alcuni suoi attori. 
Da qui, mi pare di potere dire, deriva quella ormai consolidata tendenza di una parte consistente di "popolo" a considerare i politici dei corrotti che curano solo i loro interessi. Ovvero gentaglia al soldo di qualche potente (banchiere nella maggior parte dei casi, non sbagliando del tutto) che cura i suoi interessi - e quelli del banchiere - a discapito degli interessi di chi è colpito dalla crisi.
 
La paura 
Da questo cambio di status (economico e anche sociale e culturale) che ha colpito in Europa e in Italia una moltitudine di individui, deriva anche la paura.
La paura del peggioramento della propria condizione per chi l'ha mantenuta e quella di continuare a sprofondare nella condizione di non consumatore (o povero se si preferisce) per chi quella condizione ha perso. 
Chi ha paura, ha paura di cosa? 
Di tutto quello di cui non si accorgerebbe nel caso il suo status fosse stato conservato: degli immigrati (che diventano invasori nonché ladri di posti di lavoro), del futuro tecnologico (che fa perdere posti di lavoro per l'automatizzazione dei sistemi di produzione), della globalizzazione intesa come "delocalizzazione" delle imprese che sottraggono posti di lavoro nel paese di origine (colpito dalla crisi), della perdita di identità causata dall’incipiente melting-pot etnico e culturale. 
Questa paura ha un risvolto politico. 
Da qualche anno assistiamo ad un progressivo ingrossarsi di formazioni politiche il cui obiettivo dichiarato è quello di fermare l'invasione degli immigrati (anche con la forza), di ripristinare il "primato" o l'"interesse" nazionale attraverso cambi radicali di politica economica che favoriscano le imprese "nazionali", di ripristinare l'identità nazionale attraverso la riscoperta delle "radici" e della tradizione e liquidare la "casta" di politici corrotti che hanno portato alla situazione di crisi attuale sostituendola con una nuova classe di veri patrioti o di individui che con quella "casta" nulla o pochissimo (e per questo quindi credibili) hanno a che vedere. 
Sono le formazioni di estrema destra che fioriscono praticamente ovunque in Europa e che in Francia, pochi mesi fa, concorrevano addirittura alla presidenza della Repubblica. O che in Italia, rappresentate dalla Lega salviniana e da tutto quello che gli sta intorno (Fratelli d'Italia, Casa Pound, Forza Nuova) si apprestano a diventare forza politica in grado di condizionare pesantemente le scelte parlamentari (che siano o meno al governo). 
Restando in Italia, anche il Movimento 5 Stelle fa parte di questo blocco di elettorato composto da chi ha "paura". E' di gran lunga più ambiguo della Lega (il recente caso dello ius culturae per cui si invocava una specie di arbitraggio dell'UE o la questione Euro sì Euro no ne sono alcune delle tante testimonianze) e non può definirsi né chiaramente né stabilmente di estrema destra. Ma questo in gran parte è dovuto al fatto che i suoi fondatori e gestori (il duo Grillo-Casaleggio) sono molto sensibili ai sondaggi e si muovono con circospezione su temi complessi (quali il razzismo, l'immigrazione, le relazioni internazionali, ecc.) preferendo il profilo basso su questi e insistendo invece molto sulla "onestà" e sul buon governo contrapposto alla corrutela e al mal governo che caratterizza gli altri partiti (tutti gli altri, beninteso). 
 
La fiducia 
Accanto a chi, colpito dalla crisi ha paura, c'è anche chi dalla crisi e dall'impoverimento è stato solo sfiorato o per nulla toccato, ha conservato il suo status di consumatore ottimale e considera la crisi un accidente di percorso del lungo cammino di progresso che il Sistema capitalistico consumista incontra inevitabilmente di tanto in tanto. 
La risposta alla crisi è quindi quella di "aggiustare" il percorso del Sistema con piccoli (e pure grandi) e mirati interventi chirurgici che ne limitino i danni e facciano dispiegare invece tutte le potenzialità che il Sistema offre. La crisi mondiale, dice il “popolo” liberista e fiducioso, del 2008 che attanaglia l'Italia da poco dopo è amplificata, rispetto ad altri paesi, da un assetto istituzionale "vecchio", da una burocrazia opprimente, da un tessuto economico (che
coinvolge imprese, lavoratori e sindacati) non all'altezza delle sfide di modernità e da un sistema di formazione complessivamente non in linea con quello che il "mercato" (cioè il Sistema) pretende. 
Il Jobs Act, lo svuotamento dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il pareggio di bilancio in Costituzione o la (fallita) riforma costituzionale che mirava a "snellire" le procedure legislative in favore di una maggiore autonomia dell'esecutivo (che diventava allo stesso tempo organo legiferante e di governo nella pratica anche se non nella lettera) sono tutte misure volte a rendere "moderno" e “competitivo” internazionalmente l'intero apparato che va sotto il nome mediatico di "Sistema Italia". 
Il PD, Forza Italia e i tanti partiti centristi (Liberi e Uguali compreso) che sono sulla scena politica italiana, danno rappresentanza e sono coerenti con le attese che il "popolo" della cultura del capitalismo-consumista chiede e si attende. Ne sono interpreti e ispiratori allo stesso tempo. 
Le differenze tra questi partiti sono, come dire?, sfumature. 
Di stile più che di sostanza.
 
La sfiducia 
Esiste un altro blocco di "popolo" accanto a quelli della paura e della fiducia. E' un popolo estremamente variegato nella sua composizione e che si manifesta agli appuntamenti elettorali principalmente. E' il popolo o il partito dell'astensione. 
La sua composizione en gros a me pare la seguente. 
In primis la componente del sottoproletariato urbano. Tradizionalmente questa componente è poco partecipativa politicamente e per nulla definita ideologicamente. E, specie nel sud Italia, si è sempre mobilitata attraverso il voto di scambio (moneta contro voto, principalmente, per essere chiari). Mancando (per mille ragioni) la merce di scambio mancano i voti e aumenta l'astensionismo. 
Una seconda componente è data da quanti sono, indipendentemente da qualunque cosa accada, impermeabili alla partecipazione politica. Semplicemente ignorano la politica. E continueranno a farlo. 
Una terza componente, che alcuni studiosi considerano la componente crescente, è data dagli "sfiduciati", dai delusi. E' un blocco ideologicamente variegato ma unitario nell'azione (l'astensione elettorale). Ci stanno dentro ex centristi democristiani che detestano il berlusconismo e le sue varianti (renzismo). Ci sono ex militanti ed elettori dei partiti di massa di sinistra che non si sono riconosciuti né nelle varie evoluzioni del Pci (Pds, Ds) né in quella finale che ha visto la nascita del Pd. 
Ci sono individui che vorrebbero il ritorno del Duce e siccome non ne vedono individui all'altezza di quello che fu, non si mobilitano. 
E ci sono quelli che vorrebbero qualcosa ma non sanno cosa. 
Molti nuovi partiti in Italia puntano proprio su questo "popolo" per ottenere il successo desiderato. Anzi, praticamente tutti lo corteggiano offrendogli qualunque cosa possa farli tornare a votare (per loro).
 
L'attesa 
In fine, alla fine di tutto, numericamente e culturalmente, c'è il "popolo" della sinistra senza partito. Quelli che aspettano che succeda qualcosa di significativo e che non sono rassegnati. Qui, in questa terra desolata e semiabitata, ben peggio che altrove, regna il caos. Ogni testa un tribunale, ogni gruppo una verità. Spesso in polemica accesa tra loro al limite della lite vivono anarchici, comunisti (di quasi ogni credo), socialisti (residui lombardiani per lo più), ambientalisti movimentisti, cristiani che più che al pensiero di Don Sturzo di rifanno a quello di Marx, ecc. E però, divisi fino all'esasperazione, hanno un legame tra essi che pare indistruttibile. E' un legame che è ispirato da alcune idee base, che hanno fatto da sempre la sinistra con o senza Marx. La solidarietà (non la carità, quella è un'altra cosa) verso gli ultimi, l'idea che la giustizia sociale non sia un modo di dire ma una esigenza collettiva e che questa sia la sola garanzia a che le libertà degli individui siano reali e non formali, la ripugnanza verso ogni forma di discriminazione, il ribrezzo verso ogni forma di fascismo (ivi compreso quello liberista cioè quello del capitalismo consumista) e la convinzione che il destino dell'umanità possa essere diverso, migliore, rispetto a quello prospettato da Marcuse o Pasolini.
 
Potere al Popolo 
É questo il "popolo" di Potere al Popolo. É a chi lo compone che si è rivolto l'appello di qualche settimana fa del collettivo napoletano di "Je so' pazzo" e che sta riscuotendo un certo successo in parecchie parti d'Italia. E' un tentativo nuovo rispetto alle esperienze precedenti di unificazione del "popolo" di sinistra. E' nato da chi nelle piccole (e grandi) realtà locali vive e opera facendo volontariato, cultura, creando condizioni di vivibilità laddove scarseggiano. Ed è un tentativo duplice. Quello di ricostruire un tessuto diffuso di sinistra operante sul territorio coi fatti e quello di non rinunciare a rappresentare in Parlamento questo "popolo". 
Il programma politico di PaP non è rivoluzionario. 
É, dal punto di vista strettamente tecnico, un programma socialdemocratico: rinazionalizzare i settori industriali strategici, tornare a far fare allo Stato non un regolatore di ultima istanza del mercato ma un agente di intervento economico in difesa dei più deboli, ripristinare le protezioni sociali e collettive snaturate o distrutte da 30 anni di liberismo, avviare una nuova fase di europeismo e mondialismo che ridefinisca alla radice gli accordi internazionali che impongono il liberismo e, naturalmente, molto altro ancora. 
Eppure, nelle condizioni date di liberismo imperante e fascismo riaffiorante, il programma di Potere al Popolo è autenticamente rivoluzionario. E' il tentativo più genuino di organizzare, intanto, una resistenza comune contro il nemico (non l'avversario, proprio il nemico) liberista e fascista con una rappresentanza elettiva e, allo stesso tempo, il tentativo di presidiare il territorio con una rete che colleghi tutti coloro che si sentono parte della sinistra e che. intendono rafforzare o creare realtà operative nei settori più diversi (salute, cultura, istruzione). É quello che PaP chiama mutualismo (e che fu, più di un secolo fa, la chiave del successo dei partiti socialisti europei). 
E' un progetto e un programma allo stesso tempo dunque l'obiettivo di PaP. Forse debole, forse irrealistico, forse strutturalmente difficile da portare avanti, ma è qualcosa di serio. Di nuovo. Che dovrebbe godere prima di tutto del rispetto di chi si professa di sinistra e poi, possibilmente, del suo sostegno.
 
In conclusione 
A che e a chi serve Potere al Popolo, dunque? 
Serve subito, entro marzo cioè, a creare una trincea parlamentare. Un argine al montare nero e funereo del neo fascismo sotto altri nomi e al liberismo populista e non. Serve avere qualcuno in Parlamento che sostenga le battaglie locali e nazionali di civiltà con assoluta convinzione. 
Serve una opposizione parlamentere di sinistra, in altre parole, il più possibile numericamente incisiva che rallenti, ostacoli, boicotti in ogni modo le tragiche politiche liberiste e similfasciste che si prospettano. 
Serve a chi ha aspettato e non si è però rassegnato. 
A chi ha sperato di tornare ad avere un punto di riferimento politico e sociale. 
Serve a chi ha intenzione di impegnarsi nelle realtà locali per migliorare la vita di chi ci abita. 
Serve a chi non si rassegna ad essere un "uomo ad una dimensione". 
Serve, quindi, anche a chi non è di sinistra. Serve a chi ha a cuore la democrazia in questo paese.