giovedì 18 aprile 2013

No al "largo sconcerto". Ovvero perché Bersani deve fare quello che sta facendo.

Nella foto: giovane elettore piddì sconcertato
Pare che la scelta da parte del Bersani da bettola di scegliere quale candidato alla Presidenza della Repubblica l'ex sindacalista con la pipa in bocca abbia provocato grande sconcerto a sinistra. C'è nei confronti del segretario della Nuova Democrazia Cristiana (Pd), infatti, un fiorire di contestazioni - fino all'insulto - su feisbuch, tuitter e zone limitrofe che manco avesse dichiarato di volere fare eleggere Michele Misseri.

Di fronte a tanto sconcerto, sono sconcertato.

Ché mi chiedo: dove sta il problema?
Nel fatto, come dice il pupacchiotto Renzi, che Marini non è stato manco eletto dove si era candidato alle scorse elezioni?
Oppure nel fatto che nessuno ricordava che Marini esistesse fino a ieri mattina e ne ignorava l'esistenza pure quando era segretario della Cisl?
Oppure nel fatto che è un nome gradito al Berlusconi e, quindi, foriero di larghe intese e salvacondotti per il mecenate delle olgettine?
Oppure perché Casalgrillo, con una mossa da piccolo scienziato via "uebb", ha tirato fuori una serie di nomi graditi non tanto ai grillini, quanto agli elettori del piddì?
No, perché la cosa pare assai curiosa.
Non capisco bene, infatti, quale sarebbe la ragione di tanto malumore.
E mi spiego meglio.
Il futuro presidente della Repubblica, chiunque esso sia, deve avere tre caratteristiche essenziali:
  1. deve essere un fedelissimo della Nato (davvero c'è qualcuno che pensa che il capo delle Forze armate possa essere anche solo minimamente critico verso la santa alleanza contro il male?)
  2. deve garantire, oltre ogni ragionevole dubbio, la non messa in discussione di quanto pattuito dal governo Monti (e quindi dal piddì, dal piddielle e dal piccolo grande centro) con l'Unione europea. E non solo le decisioni già prese (Esm, Fiscal Compact, pareggio di bilancio, riforme del mercato del lavoro, ecc.) ma anche quelle che ancora si devono prendere e che vanno tutte nella medesima direzione del governo sopranazionale liberista.
  3. deve tentare, in maniera indolore ma in tutti i modi, di sgonfiare il più grande problema politico che si sia presentato in Italia da Tangentopoli in poi, sia a livello nazionale che internazionale e cioè il Casalgrillismo (oggetto ancora oscuro e troppo poco manovrabile, visti i tipi che lo compongono e, soprattutto, lo gestiscono). 
Tutto il resto (capacità, garanzie, competenze, ecc.) sono solo sciocchezze buone per chiacchiericci da sala biliardo tra una stecca e l'altra.
Le caratteristiche prima riassunte, infatti, non sono richieste dal famoso "popolo sovrano" nè dalla Costituzione, semplicemente sono richieste dagli accordi che l'Italia ha a livello internazionale e che, per moltissime ragioni, non sono né discutibili né trattabili. E' bene ricordare a qualcuno, infatti, che l'Italia, al pari di altri paesi, è uno Stato a sovranità limitata sia militare che economica e pertanto dispone di pochissimi margini di manovra in questi due ambiti decisivi. E non da oggi, ma da quando ha perso la guerra e da quando è entrata a fare parte delle varie Comunità Europee fino a finire alla più invasiva di tutte: l'Unione europea.
Poste queste condizioni di base, passiamo a come stiamo messi dal punto di vista dei partiti e delle loro posizioni.
Da un lato c'è un partito sconclusionato, il M5S, che passa da posizioni di assoluto rifiuto di qualunque forma di collaborazione con gli altri partiti a posizioni di ricatto (chiamate, simpaticamente, "aperture") nei confronti del resto dell'universo (tipo: "rifiutate il finanziamento pubblico e poi parliamo", oppure: "dateci la fiducia per un nostro governo e poi vediamo", oppure: "votate il nostro candidato a Presidente e poi discutiamo")
Poi un partito, il PdL, dominato da un leader in procinto di andare a finire in galera e che è disposto a tutto pur di salvarsi in qualche maniera.
Ancora, un partitello di improbabili ottimati, quello di Mario Monti, che risponde direttamente al suo elettorato d'oltreoceano (USA) e d'oltralpe (UE).
E infine un partito (il Pd) che doveva vincere a mani basse le elezioni e che invece non solo le ha perse ma rischia di perdersi pure lui.
Questo partito e il suo (momentaneo) leader Bersani, è strattonato a destra e a manca. A manca lo strattona il Casalgrillismo che prima coi suoi rifiuti l'ha costretto a chiedere udienza al Berlusconi e che adesso lo invita a scelte "coraggiose". A destra lo strattona il PdL che gli ricorda quanto siano simili (effettivamente) i loro programmi di governo e, comunque, quando siano simili in termini di fedi atlantiche ed europeiste (pur con finti distinguo).
Siccome l'elezione del presidente della Repubblica è podromica alla costituzione di un governo e alla messa in moto dell'attività delle Camere la situazione è abbastanza seria.
Il bravo Bersani, volente o nolente, deve infatti fare i conti con gli imminenti impegni internazionali (dagli accordi con l'Unione Europea, al rifinanziamento delle missioni militari all'estero, alle possibili "esportazioni di democrazia" in Siria o in Iran, ecc.). E chi garantisce meglio di chiunque altro questi impegni? Casalgrillo e i suoi giri di valzer e la sua democrazia diretta via "uebb"? No,questi impegni li garantisce il Berlusconi. Il quale chiede, naturalmente, qualcosa in cambio. E gliela si deve dare. Cosa chiede è ovvio: continuare a fare politica al riparo da possibili sentenze negative e, prima di tutto, evitare di essere dichiarato "ineleggibile".
Ovvio che in queste condizioni il presidente della Repubblica deve essere eletto entro i primi tre scrutini (quelli che prevedono la maggioranza qualificata) e non oltre. Perché se si arriva allo scrutinio con maggioranza assoluta può succedere di tutto, perfino che venga eletto Rodotà (o Ridolini, anche se è morto).
Da qui la scelta, momentanea, di Marini.
Dico momentanea perché come detto prima non è il nome l'importante, ma le tre caratteristiche prima ricordate che il nome deve possedere. E quindi va bene anche D'Alema o Amato o un nome ancora non fatto. Un  nome cioè che sia di "larga unità" e che porti dritto alle "larghe intese".
In questo contesto, perdonatemi amici malpancisti che avete votato piddì, sel e Casalgrillo, non c'è spazio per "larghi sconcerti".


Nel filmato, YouDem, Marini che gesticola.

giovedì 11 aprile 2013

Cocktail ed illusioni. Ovvero perché sperare che il Pd si scinda è tempo perso.

Nella foto Piero Fassino mentre prepara il Pd.

In questi giorni, a causa delle polemiche (ormai trite e noiose) tra Renzi e Bersani, si riaccendono sui media nazionali i riflettori su una possibile scissione del Pd, con la sottintesa idea che nascano due formazioni: una di centro e una di "sinistra". Sono voci che ritornano periodicamente ma sono insignificanti.
E' da quando è nato il Pd che le voci di una sua dissoluzione si rincorrono. Alcuni la auspicano e altri la temono.
Agli inizi - ve lo ricordate? - tutti a fare domande polemiche: "e ora dove siederanno al parlamento europeo? coi democristiani o coi socialisti?" E giù grasse risate di commiserazione, "ahahahaha".
Bene: il Pd ha fatto cambiare nome al gruppo socialista al parlamento europeo, adesso si chiama Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici.
Fuori uno.
Poi tutti a dire: "è un compromesso storico fuori tempo massimo!" Oppure: "ma come fanno i comunisti a stare coi democristiani?" O ancora: "i nodi verranno al pettine quando si parlerà di matrimoni gay, di fecondazione assistita", ecc.
Naturalmente nessun nodo è venuto al pettine.
Poi ancora si è parlato di scissione, implosione, evaporazione ecc. ogni volta che è cambiato un segretario, che questo partito ha avuto una sconfitta elettorale, che un Renzi sfidasse un D'Alema/Bersani ecc. Ma niente, il piddì è sempre là.
E' vivo e lotta contro di noi.
Tutta questa storia che il piddì dovesse - o debba - prima o poi esplodere sotto i terribili colpi delle sue "contraddizioni" e della "Storia" si basa, a mio parere, su un equivoco di fondo comune a moltissimi.
E cioè che fosse un matrimonio di interesse tra opposti. Una specie di "emulsione", cioè una "non miscela" tra liquidi incompatibili, come l'olio e l'acqua che, per quanto li si possa mischiare, alla fine ritornano ad essere quello che sono. E si dividono facilmente.
A distanza di sette anni c'è ancora chi pensa che quel matrimonio debba prima o poi portare al divorzio.
A me, e ad altri, è sempre parso invece che non ci fosse nessun matrimonio di interesse nel mezzo, ma che fosse soltanto una correttissima interpretazione dei fatti che portavano ad una naturale unione. E i fatti sono semplici.
Il post Pci, come auspicato da Occhetto, doveva andare "oltre" la socialdemocrazia (che già in Europa era andata ben oltre sé stessa, notoriamente). E così è stato.
L'ex Pci nel giro di pochissimo tempo (meno di un paio di anni) è talmente andato "oltre" che è passato direttamente nel campo liberaldemocratico. E siccome i "cattocomunisti" dentro quel partito c'erano da sempre (dall'ultimo degli attivisti a tre quarti di organismi dirigenti) il salto verso l'"oltre", salto non è stato. É stato solo un passettino verso la "casa naturale": il campo "liberaldemocristiano". Che differisce da quello liberaldemocratico tout court per il fatto che il secondo è laico. Si sono quindi tutti ritrovati insieme amabilmente. Anzi, addirittura alcuni ex-comunisti si sono rivelati nel tempo più "liberaldemocristiani" degli stessi ex democristiani.
Inutile stare qua ad elencare tutte le "prove" a testimonianza della "liberaldemocristianizzazione" dell'ex Pci,  sono sotto gli occhi di tutti (dall'acquiescenza incondizionata al "ce lo chiede l'Europa", a quella del "ce lo chiede la Nato", alle abiure ideologiche, alle pratiche politiche liberiste delle norme sul lavoro dalla legge Treu in poi, ecc. ecc.).
Era del tutto evidente che una tale sintonia politica ed ideologica era uno spreco elettorale se non si fosse riusciti a creare un blocco politico unico contrapposto non alla "destra" liberale, ma alla particolare incarnazione di una parte della destra che l'Italia ha avuto: il berlusconismo.

Ora, pensare e ripensare che questo partito continui ad essere una "emulsione" e che prima o poi l'olio si divida dall'acqua è illusorio e dannoso. Sia per chi auspica una scissione, sia per chi la teme.
E' illusorio, per entrambi i gruppi, perché ormai è impossibile distinguere un ex-comunista da un ex-democristiano dal punto di vista della teoria e della prassi politica, eppoi perché gli interessi che legano tutti gli aderenti a questo partito sono fortissimi (da quelli economici a quelli politici, sia interni che internazionali). Magari che qualche piccola goccia schizzi via è possibile (vedi il Rutelli e la sua Api), ma non ha speranza di sopravvivenza da sola: si asciuga prestissimo.
D'altra parte è dannoso pensare che si divida per chi teme una scissione perché il temere una cosa del genere porta solo a sprecare le forze, mentre il Pd ha bisogno di riunirle queste forze (lo dico a gente come il rubicondo Paolo Mieli che ha votato Monti convinto che il Pd avesse bisogno di un colpettino di frusta per rimettersi sui binari liberaldemocristiani).
Ma è, infinitamente, più dannosa per chi - a sinistra - auspica questa scissione. E lo dico a gente come Ferrero, per esempio, che crede che una scissione del Pd comporti automaticamente la creazione di una forza di sinistra "socialista" naturale interlocutrice di forze di sinistra più radicali. Oppure a chi pensa che una scissione porti automaticamente gli elettori Pd di "sinistra" ancora più a sinistra: sciocchezza prontamente liquidata dal Movimento di Grillo.
La dannosità di questo atteggiamento è dovuta al fatto che questa idea si fonda su un altro errore di prospettiva: il Pd non ha al suo interno alcuna forza minimamente disposta ad accordarsi con una sinistra "radicale" per il semplice fatto che non ha al suo interno alcuna corrente neppure lontanamente riferibile a progetti o impostazioni che furono "socialisti". Nessuno pensa a nazionalizzazioni, per esempio, oppure a rimettere in discussione alcuni capisaldi liberisti del progetto europeo e di quello del WTO e ancora meno a dire qualcosa sull'alleanza atlantica. Sono punti fermi ormai. E indiscutibili.
E la cosa ancora più dannosa è pensare che queste posizioni riguardino solo i gruppi dirigenti.
Non è così.
É sufficiente parlare con qualcuno del Pd, che sia intellettuale o semplice elettore informato, per capire che la situazione è del tutto irreversibile.
Il piddì, pertanto, non è una "emulsione" è invece un ottimo cocktail in cui gin, rhum e chissà che altro sono indistinguibili tra loro.
Uno di quei cocktail che risultano indigesti a qualcuno e che invece altri adorano tanto da non poterne più farne a meno.