giovedì 11 aprile 2013

Cocktail ed illusioni. Ovvero perché sperare che il Pd si scinda è tempo perso.

Nella foto Piero Fassino mentre prepara il Pd.

In questi giorni, a causa delle polemiche (ormai trite e noiose) tra Renzi e Bersani, si riaccendono sui media nazionali i riflettori su una possibile scissione del Pd, con la sottintesa idea che nascano due formazioni: una di centro e una di "sinistra". Sono voci che ritornano periodicamente ma sono insignificanti.
E' da quando è nato il Pd che le voci di una sua dissoluzione si rincorrono. Alcuni la auspicano e altri la temono.
Agli inizi - ve lo ricordate? - tutti a fare domande polemiche: "e ora dove siederanno al parlamento europeo? coi democristiani o coi socialisti?" E giù grasse risate di commiserazione, "ahahahaha".
Bene: il Pd ha fatto cambiare nome al gruppo socialista al parlamento europeo, adesso si chiama Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici.
Fuori uno.
Poi tutti a dire: "è un compromesso storico fuori tempo massimo!" Oppure: "ma come fanno i comunisti a stare coi democristiani?" O ancora: "i nodi verranno al pettine quando si parlerà di matrimoni gay, di fecondazione assistita", ecc.
Naturalmente nessun nodo è venuto al pettine.
Poi ancora si è parlato di scissione, implosione, evaporazione ecc. ogni volta che è cambiato un segretario, che questo partito ha avuto una sconfitta elettorale, che un Renzi sfidasse un D'Alema/Bersani ecc. Ma niente, il piddì è sempre là.
E' vivo e lotta contro di noi.
Tutta questa storia che il piddì dovesse - o debba - prima o poi esplodere sotto i terribili colpi delle sue "contraddizioni" e della "Storia" si basa, a mio parere, su un equivoco di fondo comune a moltissimi.
E cioè che fosse un matrimonio di interesse tra opposti. Una specie di "emulsione", cioè una "non miscela" tra liquidi incompatibili, come l'olio e l'acqua che, per quanto li si possa mischiare, alla fine ritornano ad essere quello che sono. E si dividono facilmente.
A distanza di sette anni c'è ancora chi pensa che quel matrimonio debba prima o poi portare al divorzio.
A me, e ad altri, è sempre parso invece che non ci fosse nessun matrimonio di interesse nel mezzo, ma che fosse soltanto una correttissima interpretazione dei fatti che portavano ad una naturale unione. E i fatti sono semplici.
Il post Pci, come auspicato da Occhetto, doveva andare "oltre" la socialdemocrazia (che già in Europa era andata ben oltre sé stessa, notoriamente). E così è stato.
L'ex Pci nel giro di pochissimo tempo (meno di un paio di anni) è talmente andato "oltre" che è passato direttamente nel campo liberaldemocratico. E siccome i "cattocomunisti" dentro quel partito c'erano da sempre (dall'ultimo degli attivisti a tre quarti di organismi dirigenti) il salto verso l'"oltre", salto non è stato. É stato solo un passettino verso la "casa naturale": il campo "liberaldemocristiano". Che differisce da quello liberaldemocratico tout court per il fatto che il secondo è laico. Si sono quindi tutti ritrovati insieme amabilmente. Anzi, addirittura alcuni ex-comunisti si sono rivelati nel tempo più "liberaldemocristiani" degli stessi ex democristiani.
Inutile stare qua ad elencare tutte le "prove" a testimonianza della "liberaldemocristianizzazione" dell'ex Pci,  sono sotto gli occhi di tutti (dall'acquiescenza incondizionata al "ce lo chiede l'Europa", a quella del "ce lo chiede la Nato", alle abiure ideologiche, alle pratiche politiche liberiste delle norme sul lavoro dalla legge Treu in poi, ecc. ecc.).
Era del tutto evidente che una tale sintonia politica ed ideologica era uno spreco elettorale se non si fosse riusciti a creare un blocco politico unico contrapposto non alla "destra" liberale, ma alla particolare incarnazione di una parte della destra che l'Italia ha avuto: il berlusconismo.

Ora, pensare e ripensare che questo partito continui ad essere una "emulsione" e che prima o poi l'olio si divida dall'acqua è illusorio e dannoso. Sia per chi auspica una scissione, sia per chi la teme.
E' illusorio, per entrambi i gruppi, perché ormai è impossibile distinguere un ex-comunista da un ex-democristiano dal punto di vista della teoria e della prassi politica, eppoi perché gli interessi che legano tutti gli aderenti a questo partito sono fortissimi (da quelli economici a quelli politici, sia interni che internazionali). Magari che qualche piccola goccia schizzi via è possibile (vedi il Rutelli e la sua Api), ma non ha speranza di sopravvivenza da sola: si asciuga prestissimo.
D'altra parte è dannoso pensare che si divida per chi teme una scissione perché il temere una cosa del genere porta solo a sprecare le forze, mentre il Pd ha bisogno di riunirle queste forze (lo dico a gente come il rubicondo Paolo Mieli che ha votato Monti convinto che il Pd avesse bisogno di un colpettino di frusta per rimettersi sui binari liberaldemocristiani).
Ma è, infinitamente, più dannosa per chi - a sinistra - auspica questa scissione. E lo dico a gente come Ferrero, per esempio, che crede che una scissione del Pd comporti automaticamente la creazione di una forza di sinistra "socialista" naturale interlocutrice di forze di sinistra più radicali. Oppure a chi pensa che una scissione porti automaticamente gli elettori Pd di "sinistra" ancora più a sinistra: sciocchezza prontamente liquidata dal Movimento di Grillo.
La dannosità di questo atteggiamento è dovuta al fatto che questa idea si fonda su un altro errore di prospettiva: il Pd non ha al suo interno alcuna forza minimamente disposta ad accordarsi con una sinistra "radicale" per il semplice fatto che non ha al suo interno alcuna corrente neppure lontanamente riferibile a progetti o impostazioni che furono "socialisti". Nessuno pensa a nazionalizzazioni, per esempio, oppure a rimettere in discussione alcuni capisaldi liberisti del progetto europeo e di quello del WTO e ancora meno a dire qualcosa sull'alleanza atlantica. Sono punti fermi ormai. E indiscutibili.
E la cosa ancora più dannosa è pensare che queste posizioni riguardino solo i gruppi dirigenti.
Non è così.
É sufficiente parlare con qualcuno del Pd, che sia intellettuale o semplice elettore informato, per capire che la situazione è del tutto irreversibile.
Il piddì, pertanto, non è una "emulsione" è invece un ottimo cocktail in cui gin, rhum e chissà che altro sono indistinguibili tra loro.
Uno di quei cocktail che risultano indigesti a qualcuno e che invece altri adorano tanto da non poterne più farne a meno.

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