martedì 17 marzo 2015

La "Leopolda" di Landini, il Blob liberista e la Cgil scalabile

Da quello che si è capito fino ad ora Landini non vuole fare un partito (di sinistra).
Effettivamente il campo a sinistra del Pd è affollatissimo e aumentano sempre nuovi attori: si va dai ben noti frantumi di quel che fu il Pci (Pcdi, Rifondazione, Pcdl, Sel, ecc.), alle nuove formazioni movimentiste nate sulla scia di successi stranieri (Podemos, l'Altra Europa con Tsipras e, fra non molto, c'è da scommetterci, pure qualcosa che si richiama al Sinn Fein). In un contesto del genere fare un nuovo partito non solo è difficile, è drammatico. Perché a sinistra i partiti e i movimenti risultano, dati elettorali alla mano, praticamente più numerosi degli elettori.
Ma non credo che Landini abbia rinunciato all'idea di un partito a sinistra per questa ragione.
Io credo che stia semplicemente provando a "scalare" la Cgil. E uso il termina "scalare" perché è un verbo che richiama subito alla mente Renzi, che è il vero punto di riferimento (dal punto di vista della strategia, non da quello politico) di Landini. 
A me pare che Landini sia insoddisfatto di come sia gestita, strutturata, di come agisca e di come interpreti la società e il futuro la Cgil. Landini è convinto che l'offensiva liberista al mondo del lavoro salariato, da trenta anni a questa parte, sia passata con il tacito consenso del sindacato oppure con il suo colpevole disinteresse. Ed è convinto che questa offensiva non sia stata portata avanti solo dal "nemico di classe" tradizionale (il blocco conservatore politico-economico fatto dai partiti di centro e dalle associazioni datoriali) ma anche dai partiti "amici" ormai convertiti alle magnifiche sorti del liberismo.

Landini, lo ripete in continuazione, si è convinto che contro questo pastone politico-economico fatto da vecchi e nuovi "nemici di classe" si può sperare di non soccombere completamente unendo le forze, resistendo e contrattaccando sulla base della rivendicazione di diritti sociali negati, esigenze economiche non corrisposte e bisogni materiali ignorati. Queste forze da unire sono disperse e spesso isolate e vanno dai giovani precari, ai pensionati sotto la soglia di povertà, alle partite iva per necessità, ai piccoli artigiani strangolati dalle banche, agli esodati, ai cassintegrati cinquantenni senza futuro, ai disoccupati di lungo corso, agli operai ex articolo 18, ai nuovi operai ex Job Act.
Siccome ha perfettamente compreso quanto la società di oggi sia deideologizzata, depoliticizzata e pertanto aliena dalle etichette partitiche e dalle grandi visioni di cambiamento che hanno caratterizzato gli ultimi due secoli della storia occidentale, ha intravisto nel sindacato - ultimo bastione di consenso e di rappresentanza popolare organizzato per interessi e ancora capillarmente diffuso su tutto il territorio nazionale - l'unica struttura in grado di contrastare il Blob liberista che ha invaso e pervaso ogni ambito della società odierna.

Il sindacato, la Cgil, ha un patrimonio di uomini, strutture operative, conoscenze e capacità di mobilitazione sociale indebolito, certo, ma ancora potente. Ed è anche un marchio. Cioè è un simbolo in cui ci si riconosce, riconosciuto e riconoscibile e questo, nell'epoca della comunicazione globale, non è un elemento secondario.
Purtroppo, secondo quella che mi pare l'analisi di Landini, questo patrimonio è in via di esaurimento se continua "solo" a fare (e pure malamente) sindacato. Ed è destinato a frantumarsi in tanti piccoli soggetti corporativi che, al massimo, potranno essere dei CAF (centri di assistenza fiscale) vista la potenza, crescente e unitaria, della controparte.
Se questa mia interpretazione dei fatti è realistica allora l'iniziativa della Fiom di qualche giorno fa non tende a "fare" un partito ma a "rifare" il sindacato secondo una logica inclusiva che mette da parte l'appartenenza al mondo del lavoro salariato e si apre a ogni altra forma di lavoro (e non-lavoro) decisa ad opporsi ai grandi potentati finanziari, industriali e bancari che ormai dettano l'agenda politica ed economica ai vari governi (non solo italiani).

L'iniziativa della Fiom allora non è più una "chiamata alle armi" politica ma è la strada per fare crescere il consenso intorno a Landini che mira a "scalare" la Cgil. E' una "Leopolda".
Così come Renzi ha organizzato, per qualche anno, una kermesse in cui ha prima avvicinato e poi integrato soggetti lontani dal Pd (a partire dagli imprenditori piccoli e grandi per finire ai finanzieri internazionali) fino a farne forza dirompente che gli ha consentito di impadronirsi del Pd, così Landini spera che un consenso vasto e al di fuori della sola piccola rappresentanza dei metalmeccanici gli consentirà di aggredire i vertici della Cgil e di farne altro rispetto a quello che noi oggi conosciamo.

In questo modo di ragionare vi sono molti rischi. Quello principale è legato alla capacità di resistenza in questa che si annuncia una lunga "scalata" da parte di Landini e dei suoi sostenitori. Non è detto che il suo personale consenso duri, nè che cresca vista, appunto, la frammentazione non solo politica ma anche sociale della popolazione cui fa riferimento. Oggi si vive di "twit" non di progetti di lungo respiro.
Il secondo rischio che corre Landini, è che gli sfugga di mano il "disagio" diffuso e che è il vero fattore X in grado di aggregare attorno ad un progetto soggetti e organizzazioni distanti tra loro per cultura, per appartenenza sociale e per tendenza politica. E' del tutto possibile, infatti, che la favorevole congiuntura economica internazionale (prezzo del petrolio basso, euro fuori dal rischio implosione, ecc.) da qui a qualche tempo possa portare benefici all'occupazione, ai consumi, alle esportazioni e, insomma, rimettere in moto il marchingegno capitalista basato sulla equazione: più consumi, più crescita, più occupazione, più benessere diffuso. Se dovesse succedere questo le possibilità di riuscita del progetto di Landini si ridurrebbero di molto per la drastica riduzione del numero di soggetti in stato di difficoltà (almeno momentaneamente).

Ma, come noto, i rischi se guardati da un'angolatura diversa possono diventare opportunità.
Per cui se il progetto di prendere il controllo della Cgil da parte di Landini, per avventura, dovesse andare a buon fine si verrebbero a creare le condizioni per le quali la frammentazione politica diminuisca notevolmente, magari dando vita ad una formazione federata, ma unitaria, che appoggiandosi al "nuovo" sindacato possa presentarsi alle elezioni come formazione alternativa al Partito del Pensiero Unico liberista incarnato da partito-nazione di Renzi e dai suoi partiti satelliti.

Sarebbe un processo molto simile a quello che ha portato, più di un secolo fa, alla costituzione del Partito socialista italiano ma anche di altri partiti di sinistra in Europa. Partiti che hanno radicalmente cambiato il corso delle cose e che hanno tolto, o ridotto, il potere fino ad allora esclusivamente nelle mani delle élites dominanti.
La scommessa di Landini è ambiziosa, se è vero quello ho detto, ma come tutte le scommesse ha opportunità di essere vinta se le considerazioni dello scommettitore sono ragionevolmente fondate.
Forse lo sono e forse no.
Di certo ci sono, al momento, solo due cose: che fuori dal sindacato tutto quello che si muove a sinistra è insignificante politicamente e che il Blob del liberismo è ormai dilagante.

domenica 8 marzo 2015

Democrazia e totemismo

Un poco più di due anni fa, quando era ancora il supersindaco di Firenze, Renzi illustrava al mondo la sua idea sull'art.18 dello Statuto dei lavoratori (vedi video  allegato). Raccontava che il suddetto articolo era una "totem mediatico" usato solo per propaganda politica e che "non conosceva un solo imprenditore" che si lamentasse del "totem". Al contrario dichiarava che la corruzione, la burocrazia elefantiaca, la giustizia civile lentissima erano i "veri" problemi.
Da ieri la riforma del Diritto del lavoro chiamata Jobs Act, che cancella quasi completamente l'art. 18 (e non solo) dello Statuto, è legge dello Stato. Realizzata in tempi record (ammettiamolo con ammirazione) proprio da Renzi.

Non importa qui stabilire il perché di questo radicale cambiamento di posizione. Tutti cambiamo idea su molte cose e Voltaire diceva che solo i morti e cretini non cambiano idea. La cosa interessante è invece un'altra a mio parere: la capacità di Renzi di essere in grado di intercettare l'orientamento generale (su singole questioni o su una intera interpretazione del mondo), in un dato momento, di buona parte dell'elettorato, farsene interprete e, soprattutto, una volta intercettatolo e divenutone il rappresentante, di riorganizzarlo e riorientarlo verso la direzione che gli interessa. Un leader carismatico ha questo di diverso rispetto ad un leader politico senza carisma.
Il programma del San Sepolcro di Mussolini (atto fondativo del Fascismo) era un programma che metteva assieme proposte e proposizioni socialiste e rivoluzionarie e proposte e proposizioni orientate coinvolgere la media e piccola borghesia impaurite. Era un programma, cioè, perfettamente in linea col sentire comune di larghi strati sociali italiani del primo dopoguerra. Sappiamo bene che fine fece quel programma non appena Mussolini prese il potere.
Qualche decennio più tardi - con minor successo ma con le stesse modalità - un altro leader carismatico - sull'onda di una profonda crisi economica e di rappresentanza democratica (quest'ultima dovuta in buona parte alla vicenda "Mani Pulite") - intercettò un parte abbondante di consenso elettorale schierandosi contro la corruzione e il malaffare e chiamò al suo primo governo (anche se ottenne risposta negativa) il paladino dell'anticorruzione del tempo, il Pubblico Ministero Di Pietro. Poco tempo dopo, una volta padrone del consenso, il leader carismatico lo riorientò verso la direzione a lui più congeniale. Quel leader era Berlusconi.

Un leader carismatico è ambizioso, è spregiudicato, è mimetico, è capace di intuire "l'umore" più comune sparso tra la società ed è in grado non solo di interpretarlo ma, soprattuto, di reinterpretarlo e di stravolgerlo facendo credere che sia sempre lo stesso "umore". Soprattutto, il leader carismatico è convinto di avere una missione storica che nessun altro è in grado di esercitare.
Renzi è, in questo momento, il leader carismatico di cui gli italiani hanno bisogno.
Ce ne sono altri due, invero, che hanno caratteristiche simili alle sue. C'è Grillo e c'è Salvini. Ma, rispetto a Renzi, i due non sono sintonizzati con la parte maggioritaria dell'elettorato italiano. Sono, ciascuno a suo modo, "estremisti". Tendono a farsi interpreti di una parte di elettorato delusa, indignata, impaurita dalla crisi, dall'immigrazione, dalla piccola criminalità e che sogna una palingenesi radicale della società senza sapere però quale modello adottare se non quello di una epoca d'oro vagheggiata e mai esistita, fatta di tutto e del contrario di tutto. In questo elettorato domina la confusione ideologica e psicologica. Questa parte di elettorato, fluttuante e a tratti consistente, è comunque minoritaria. E' destinata a fare pressioni sulla politica e sul potere ma non ad esercitarlo. Almeno fino a che esiste una parte di popolazione ancora mediamente "benestante" e maggioritaria.

Renzi, più scaltramente, ha scelto un altro riferimento elettorale. Quello della "maggioranza silenziosa". Appunto quello, maggioritario, di una popolazione tutto sommato benestante, in grado di sopravvivere alla crisi economica con sacrifici ma senza essere compromessa con la povertà, che anela il ritorno ad un passato fatto di consumi e di benessere diffuso senza particolari difficoltà. Che si nutre di una cultura spicciola e superficiale e che ama "delegare" agli altri sia la comprensione dei problemi che una loro eventuale soluzione limitandosi a segnalarli (e neppure tanto convintamente). E' la parte di elettorato culturalmente piccolo borghese maggioritaria e conservatrice, moderata come si dice oggi e, sempre, ambigua. Non razzista ma patriottarda, non ideologizzata ma a-ideologica, non liberista ma filoliberista, non europeista ma neppure antieuropeista, non rassegnata ma portata all'accettazione e al democristianissimo "tirare a campare". Perfettamente allineata, dunque, col pensiero unico dominante fatto di "There is not alternative" (TINA) e che si affida a "tecnici" ed "esperti" che dicono quello che vuole sentirsi dire in quel momento.
A queste condizioni il leader carismatico Renzi ha gioco facile. Può essere un giorno a favore dello Statuto dei lavoratori e il giorno appresso può cancellarlo. Può dire che la politica è troppo corrotta ma accettare finanziamenti alle sue cene di gala da personaggi discussi e discutibili. Può essere contro l'acquisto di F35 ma acquistarli lo stesso. Può, insomma, cambiare opinione in continuazione, a seconda degli umori del suo elettorato di riferimento, salvo decidere poi fare quello che ha deciso di fare presentandolo come il raggiungimento dell'obiettivo che il suo elettorato desiderava. E siccome il suo elettorato è fluttuante in termini di idee e con la memoria cortissima, in effetti il suo elettorato lo apprezza sempre. E sempre di più.

Il leader carismatico - non un argomento politico - diventa così un totem mediatico. Il totem di tutti.
Di chi lo adora e lo prega e di chi lo odia e lo bestemmia. Di chi lo invoca per "cambiare le cose" e di chi lo offende dicendo che non cambia nulla.
Diventa il centro della politica e della religione laica di un paese. E tanto più è in grado di orientare e riorientare le opinioni dei suoi fedeli tanto più tenta di accreditarsi a tutti i suoi nemici come l'unico totem, l'unico che "fa" e "sa fare" e che "può fare". Attirando verso di lui molti altri ex nemici e avversari, assecondandoli se del caso e poi manipolandoli.
La democrazia post-moderna, figlia del liberismo e del "decisionismo" a convenienza, sradicata dalla partecipazione consapevole e fondata sul consenso plebiscitario, è assai simile alle dittature novecentesche. E' totemismo.
E come tutti i totemismi è una religione debole. Che si affida al totem fino a che il totem garantisce ai più quel minimo di tranquillità di cui necessitano.
Se non ci riesce più, per qualunque ragione, i fedeli del totemismo cambiano totem. Ma prima di cambiarlo lo abbattono e, poi, fanno finta di non averlo mai adorato. Alla ricerca di un nuovo totem.
Che arriverà.