martedì 17 giugno 2014

UNO STATO "MODERNO". OVVERO DEL CORPORATIVISMO CAPITALISTA

Ma se ora questa borghesia sta mutando rivoluzionariamente la propria natura e tende a rendere simile a sé tutta l'umanità - fino alla completa identificazione del borghese con l'uomo – quella vecchia rabbia e quella vecchia indignazione non hanno perduto ogni senso?
P.P. Pasolini 

Chi dice lavoro, dice borghesia produttiva e classi lavoratrici delle città e dei campi. Non privilegi alla prima, non privilegi alle ultime ma tutela di tutti gli interessi che si armonizzano con quelli della produzione e della nazione. 
B. Mussolini

Semplificazione e semplicità

Quello che non manca a Renzi è l'orizzonte verso cui puntare. Il punto di arrivo della sua strategia politica. Una visione dell'Italia alla fine del famoso (o famigerato) percorso ad ostacoli delle "riforme".
E' una cosa che manca, del tutto o in parte, ai suoi oppositori interni ed esterni.
E' questo che lo rende forte.
Prima della indubbia capacità di muoversi a suo agio nella politica nazionale e internazionale. Prima della indubbia capacità di essere in grado di riconoscere subito chi è amico e chi nemico e di neutralizzare quest'ultimo. Prima della sua capacità di esercitare fascino, entusiasmo e perfino identificazione.
La sua idea di Italia da venire è semplice ma non banale. Ed è comprensibile a tutti, senza distinzioni: a ricchi e poveri a salariati e rentiers, a marginali e integrati, a giovani e vecchi.
In estrema sintesi la sua idea è questa: fare dell'Italia un paese "moderno", in grado di reggere la sfida degli altri paesi europei ed essere motore di una riforma europea che renda l'Europa un competitore adeguato ai colossi che dominano il panorama internazionale.
E per fare questo la via da seguire è una sola, si chiama semplificazione e si declina in tutti gli ambiti:
  • semplificazione del mercato del lavoro (renderlo meno "ingessato" capace di garantire quella flessibilità e precarietà che sia in equilibrio tra esigenze dei datori di lavoro e sopravvivenza dei lavoratori);
  • semplificazione della burocrazia, odiata da tutti, per renderla il più possibile disconnessa dal principio del controllo ex ante per indirizzarla verso il principio ex post (cioè: le autorizzazioni si danno subito e poi, eventualmente, si verifica che tutto sia conforme a poche ed essenziali leggi. Vale per il commercio, come per l'industria, come per le licenze edilizie);
  • semplificazione del fisco per trasformarlo da giungla di leggi e regolamenti a piccolo breviario "facilmente traducibile in inglese";
  • semplificazione delle regole di governo riducendo gli spazi elettivi (senato, consigli provinciali, ecc.) per dare più spazio al principio della "reductio ad unum", cioè tutto affidato ad una persona (capo del governo, sindaco, ecc.) che sia facilmente riconoscibile e osannabile o punibile a seconda dei risultati, reali o percepiti, che ottiene;
  • semplificazione della "giustizia" per renderla più veloce e meno invasiva;
E' una nuova visione della "deregulation" di reaganiana memoria: il "laissez faire" con qualche controllo di stato appropriato che garantirà il buon funzionamento di tutto il sistema.
É facile distinguere in questo programma una idea di fondo. Ed è quella che il sistema capitalistico non è in discussione e non ha alternative. Non è fatto male, non produce disastri, crisi e scompensi di eguaglianza (economica e sociale innanzitutto) perché intrinsecamente il sistema prevede queste cose. No, il sistema va bene: produce crescita, cioè, nel linguaggio ormai standardizzato, benessere e progresso sociale. Ed è un sistema virtualmente universale, adattabile ad ogni ambiente umano e che basa la sua forza sulla libera iniziativa di  chi ha le idee e la giusta ambizione per realizzarle.
Se ogni tanto funziona male è perché si debbono aggiornare alcune cose, si deve rendere "moderno" e più efficiente lo Stato.

Non ha molta importanza scoprire che la forbice tra i ricchi e i poveri negli ultimi trenta anni a base di "deregulation", privatizzazioni e distruzione delle regole post "new deal", si sia allargata a favore dei ricchi in maniera sconcertante.
Non ha importanza sapere che i più imponenti flussi di denaro (e quindi di potere) nel mondo della globalizzazione sono gestiti  da oligarchie di poche migliaia di soggetti indipendenti da ogni autorità più o meno rappresentativa, più o meno democraticamente eletta.
Non ha importanza accertarsi che la libera concorrenza è un concetto che non esiste in natura perché il più delle volte sono gli oligopoli che dominano.
Non ha importanza sperimentare che le devastazioni ambientali sono il prodotto di uno sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali (dall'acqua, alla terra, all'aria) ai fini del nuovo dio unico che si chiama profitto.
Non ha importanza sapere che i flussi migratori non sono il frutto di un turismo di massa ma l'attrazione ovvia di milioni di esseri umani che vivono in condizioni di disastro verso terre popolate da esseri umani che vivono al di sopra delle proprie possibilità e che lottano contro l'obesità mentre i primi lottano per un bicchiere d'acqua.
Tutto questo non importa perché se questo accade è soltanto perché non si è stati sufficientemente attenti a regolare alcune cosette del sistema.

Il corporativismo capitalista, ossia del pensiero unico.

Questi elementi, approfodibili da tutti con poco sforzo, e qui elencati in maniera semplificata (alla maniera di Renzi), non sono contemplati dal modello di società del nostro capo di governo e dei suoi pari diffusi su tutta la terra.
E non sono contemplati neppure da chi lo vota, poichè chi lo vota vuole solo una cosa: tornare al benessere, al consumismo, cui è stato abituato per decenni e che gli è stato sottratto, quasi d'un colpo, dalla crisi del 2008. Crisi provocata, nell'immaginario collettivo italiano, non dal capitalismo finanziario, ma dalla obsolescenza del "sistema Italia".
E se per tornare ai bei tempi degli anni ottanta e novanta si devono fare le "riforme" che si facciano presto.
La sintonia tra Renzi e l'elettorato italiano è la sintonia che c'è, d'altra parte, in ogni paese europeo e negli Stati Uniti tra governanti e governati indipendentemente dal colore politico di chi governa poiché, alla base, il colore è unico e sono solo sfumature che fanno (o non fanno) la differenza.
L'Italia ha bisogno più di altri di queste "riforme" (le semplificazioni di cui si parlava prima). E in Italia queste riforme le può garantire solo uno che abbia le idee chiare, che non si faccia prendere in giro e che abbia la giusta tenacia per combattere i "poteri forti" che, in questo caso, sono la "vecchia politica" da rottamanre, i sindacati, la burocrazia dei brontosauri, il fisco rapace, eccetera.
E' un programma semplice da ricordare, in linea con le aspettative di chiunque e, in assenza di meglio, largamente condiviso.

La cosa interessante che c'è da notare in questo capitalismo "moderno" ed efficiente sognato dai nuovi giovani liberisti alla Renzi è che questo modello ha molto di fascista.
Non nel senso dell'olio di ricino o della limitazione delle libertà. Affatto. Anzi le libertà e i diritti (in ispecie quelli individuali) non solo non vengono messe in discussione ma vengono ampliate e largamente garantite nei limiti del possibile.
E' un capitalismo fascista nel senso del corporativismo.
Alla lotta di classe, alla contraddizione di interessi collettivi, si è sostituita l'idea che tutti (capitalisti e salariati, borghesi e proletari) hanno un ruolo nella società e che se esercitano bene questo ruolo il benessere non sarà di una singola classe o categoria o ceto: sarà un benessere collettivo.
Il rafforzamento di questa idea proviene anche, se non soprattutto, dal cambiamento degli stili di vita negli ultimi quaranta anni. Pasolini lo aveva previsto con la consueta capacità visionaria. Omologati, grazie al benessere consumistico, tutti gli uomini all'idea unica di "uomo borghese", che ne sarebbe restato della necessità di cambiare il mondo?  Se tutti si identificano, a torto o a ragione, con la "classe media", che senso ha volere cambiare il sistema? Nessun senso, ovvio. L'idea che esistano nella società interessi sociali in contraddizione tra loro è tramontata perché chi aveva interessi contrapposti ad altri (nello specifico il lavoro dipendente) considera i propri interessi egregiamente rappresentati da chi prima era considerato un "nemico".
Ecco quindi che quando Renzi (o Hollande o Merkel) parla ai propri sostenitori parla di "Italia" non di "lavoratori", parla di "consumatori" non di salariati, parla di "paese" o "patria" e non di  interessi di classe. Parla, cioè, a tutti, non a una singola parte. Tutti devono fare la "loro parte" perché il sistema sia più efficiente e quindi crei (secondo questa logica) più benessere collettivo.
Gli interessi si "armonizzano", qualora ce ne fossero ancora in contraddizione, con l'interesse superiore della nazione o meglio, con gli interessi superiori del sistema. Mussolini docet.
Quella del corporativismo capitalista è il "pensiero unico" che si estende dalla California a Hong Kong. Che ha i suoi santuari nei partiti dominanti (che si chiamino socialisti, democratici, democristiani o repubblicani non ha importanza) e che ha un seguito maggioritario dovuto proprio alla condivisione di questa idea da parte di una "classe media" di cui tutti si sentono parte. La lotta politica è pertanto lotta di uomini e non di idee. Vince chi è meglio attrezzato, umanamente e tecnicamente, per conquistare la "classe media".
In italia ha vinto Renzi adesso, in Spagna Zapatero una decina di anni fa, in Gran Bretagna Blair una ventina di anni fa, Obama negli Usa qualche anno fa. Idee, politiche economiche e stili di comunicazione pressocché identici.
E vincenti.


Chi si oppone a questo modello e con quali modelli alternativi?

La crisi del 2008 ha scatenato un evento sociale pericolosissimo, che non è la povertà e non è neppure la perdita di potere degli Stati di fronte alle oligarchie finanziarie (i famosi "mercati"). L'evento è di tipo sociologico e riguarda la sensazione (vera o presunta) della perdita dello status di "classe media" di intere fasce di popolazione che segue alla perdita del potere di acquisto.
Un incubo per milioni e milioni di famiglie.
La risposta politica a questo scadimento sociale è stata variegata nei vari paesi europei.
In Italia ha trovato una risposta nel grillismo ma in molti altri paesi sta trovando risposta nel nazionalismo parafascista o dichiaratamente fascista.
Lungi dal dare la responsabilità della crisi al sistema finanziario-capitalista la colpa di questa e delle sue conseguenze è stata data agli immigrati, alla politica che non difende gli interessi nazionali, alla corruzione, ecc. ecc. L'effetto è quello di una rinascita dei nazionalismi (con venature razziste più o meno marcate).
Il modello proposto da questi partiti è pertanto quello, ancora una volta, corporativo-capitalista con una spiccata impronta nazionalista (chiusura delle frontiere alla immigrazione, dazi dognali, riscoperta della identità nazionale, religiosa, eccetera).
Questo per quanto riguarda il fronte di destra dello spettro politico.
A sinistra è diverso.
A sinistra c'è il caos. Perduta la bussola marxista della lotta di classe (e perduta anche la classe che non si considera più classe operaia ma classe media in una ridefinizione totale della "coscienza di classe") si stenta a proporre un modello alternativo di società e di economia. E si stenta anche a sopravvivere. A fronte del caso greco dove Syriza ha raggiunto consensi di grande riguardo, in tutto il resto del continente la sinistra non "moderata" non riesce a riscuotere grandi successi. In  Italia poi non è in declino: è praticamente scomparsa.
L'arsenale culturale e politico della sinistra è esausto e non esercita più alcun fascino. Perduta nel dibattito incessante (e improduttivo, politicamente parlando) tra keynesimo e rivoluzione, la sinistra - o quel che ne resta - non riesce ad elaborare alcun modello alternativo di società e di economia in grado di attirare voti e diventare forza politica centrale nel dibattito europeo.

Alla fine di questo lungo ragionamento mi pare di individuare due veri soggetti politici, due aree di riferimento, che si contenderanno nei prossimi anni le guida politica italiana ed europea: il corporativismo capitalista internazionalista (fatto di oligarchie extranazionali) e il corporativismo capitalista nazionalista e fascista.
Al momento mi pare ci si possa augurare solo lo scontro frontale tra queste due aree e il collassamento dell'idea di fondo (il corporativismo capitalista). Forse tra le macerie si troverà qualcosa su cui ricostruire una società un poco meno disgustosa.
Forse, si capisce.



P. S.: una bibliografia mi sembra d'obbligo visti gli argomenti trattati. Breve, non esaustiva, ma vale la pena ricordarla.

Zygmunt Baumann, Dentro la globalizzazione - le conseguenze sulle persone, Laterza
Giuseppe Berta, Oligarchie, Il Mulino
Luciano Gallino, Con i soldi degli altri, Einaudi
Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari - Garzanti