sabato 21 aprile 2018

IL RITORNO DI MENENIO AGRIPPA. OVVERO DEL CORPORATIVISMO 2.0

La menzogna
Come diceva Goebbels? Che a forza di ripetere una bugia quella diventa una
verità? Ecco, a me pare che nell'epoca politica in cui viviamo - non solo in Italia - stia trionfando o abbia trionfato la menzogna. Per essere più preciso mi riferisco alla menzogna - ripetuta in Italia dalla Lega e dai 5stelle o in Francia da Macron - secondo la quale la Destra e la Sinistra siano categorie superate, vecchie e inutilizzabili. L'unica che può essere utilmente usata è la categoria del "fare bene" per il "popolo".
E' la teoria secondo la quale la politica agisce in base ad una forma di "bene comune" immediatamente percebibile da chiunque: riparare le buche e togliere la spazzatura regolarmente dalle strade, non posteggiare in seconda fila, curare i giardini pubblici, mettere in galera i ladri e buttare la chiave, abbassare le tasse sempre e a tutti, usare lo Stato per risolvere i problemi dei privati e onesti cittadini che lavorano duramente e non arrivano a fine mese, ecc.Tutte queste, come amano ripetere alcuni, non sono cose di destra né di sinistra: sono cose di "buon senso".
In questa prospettiva, in effetti, non c'è bisogno di distinguere tra destra e sinistra, perché la distinzione è semplicissima e si misura in base alla capacità che hanno i partiti e i loro rappresentanti di risolvere un problema (le strade sfossate ad esempio: se dopo un tot di tempo la strada continua ad essere impraticabile l'amministratore/politico è inefficiente, altrimenti no). Il criterio che distingue gli uni dagli altri è dunque l'efficienza del singolo o del partito/movimento cui appartiene rispetto ad un altro. L'efficienza, va da sé, è un criterio giudicato assolutamente indiscutibile, autoevidente, lapalissiano e mira ad assicurare a "tutti" uno standard di vita pubblica (e privata) considerato, nel famoso immaginario collettivo e quindi per questo fumoso e indefinito, adeguato ai tempi che corrono, ovvero moderno, ovvero da "paese normale".

Il vecchissimo che passa per nuovissimo
L'idea che sta alla base di questo pensiero - tanto elementare quanto intellettualmente disonesto se veicolato da qualcheduno meno analfabeta di altri - è che in una società non esistano, non siano mai esistiti e non possano esistere, interessi confliggenti tra classi sociali (o anche ceti e perfino categorie). Le divisioni, ovviamente, ci sono. Quello che si nega è che queste divisioni possano essere usate per le scelte politiche. La logica è che ciascun individuo, ciascuna classe, collabora con gli altri e le altre per un "superiore" bene comune collettivo: quello di tutto il "popolo".
Non vi sa di più vecchia, molto più vecchia e retrograda, questa interpretazione della politica rispetto a quella di destra e sinistra? Non vi ricorda niente e nessuno? Vediamo se con una citazione va meglio:

           «C'è stato un tempo in cui le membra dell’uomo, constatando 
             che lo stomaco se ne stava ozioso ad attendere cibo, mentre 
             loro faticavano non poco per portarglielo, decisero che le mani 
             non portassero cibo alla bocca, che la bocca, eventualmente, lo
             accettasse, che i denti, eventualmente, lo masticassero. Successe
             però che mentre operavano così per domare lo stomaco si
             indebolirono esse stesse e l'intero corpo giunse a deperimento
             estremo. Da qui si mostrò che lo stomaco non è un pigro ma 
             colui che dispensa e distribuisce a tutti il cibo che riceve sotto 
             altre forme. Le membra tornarono quindi in amicizia con lui e
             ripresero come prima.
             Ecco, amici, allo stesso modo patrizi e popolo, come fossero 
             un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia
             rimangono in salute.»

E' l'apologo di Menenio Agrippa, senatore romano, che la leggenda dice egli pronunciò - cinquecento anni prima di Cristo - alla plebe romana parecchio incazzata per le crescenti pretese e i privilegi smisurati che i patrizi accumulavano a sue spese.
La fine è nota.
La plebe, convinta da Menenio, tornò a fare la plebe servile e il patriziato a servirsi di essa per molti altri secoli.
Perché per molti, moltissimi altri secoli, questa interpretazione della società restò dominante. Con le buone e anche con le cattive. E' l'interpretazione organicista, o corporativa, della società umana.
Non ci sono servi e padroni, né sfruttati e sfruttatori, né privilegiati ed emarginati. Non ci sono perché tutti, ciascuno per la sua parte, collabora acché tutto il corpo, cioè tutto il "popolo", stia in buona salute.
Non ci vuole molto a capire che si tratta di una interpretazione della società, ancora prima che falsa, fondata su alcuni concetti primitivi. E cioè sulla gerarchia sociale naturale basata sulle capacità che ha ogni individuo (per cui emerge chi è meglio dotato), sull'immodificabilità della sua struttura che è eterna, sulla necessità storica che debbano esistere diseguaglianze e differenze anche profonde tra individui e classi di individui perché proprio queste assicurano la buona salute a tutto il popolo.
C'è solo un problema in questa interpretazione della società. Ed è un problema grande come una casa. E cioè che questo modello non distribuisce benessere a tutto il "popolo" ma solo ad una parte di esso: a quella più ricca. E, quel che lascia senza parole, è che lo fa sfacciatamente.
Succedeva coi patrizi e con la plebe romana, succedeva coi feudatari e coi servi della gleba medievali e succede adesso con quella porzione di capitalisti ultra ricca e ultra potente che domina il pianeta e con tutto il resto della popolazione che subisce le loro decisioni, i loro capricci, le loro speculazioni, i loro privilegi di cui mai si saziano.
Negare, come fanno i corporativisti di oggi questo stato di cose, non è negare l'evidenza: è agire in maniera goebbelsiana. Ripetere menzogne per farle passare per verità.


Il Corporativismo ai tempi dell'iPhone
Il corporativismo moderno, cioè quello rinato tra l'ottocento e il novecento, ha tre filoni principali. Quello nazionalista, fondato sul concetto di popolo come unità di sangue eterna tra individui. Quello cristiano fondato sull'unità del "gregge" che segue gli insegnamenti dei suoi "pastori". Quello fascista fondato sull'idea di Stato che risolve in sè ogni frattura, ogni divisione, ogni conflitto sociale attraverso la collaborazione (forzata se del caso, ed è il caso) tra le varie classi.
Più recentemente, diciamo a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si è aggiunto il corporativismo liberista.
Questo - non credente ma laico se non ateo, non nazionalista e non fascista - si distingue dagli altri per l'idea secondo la quale non c'è alternativa ad un sistema fondato sul mercato, sulla sua  autoregolazione, sulla gerarchia naturale delle classi e degli individui che, attraverso l'impegno e il duro lavoro delle classi dominanti prima di tutto, assicura il meglio possibile a tutti.
E' il capitale, la sua impresa, al centro di questa ideologia: la libera iniziativa imprenditoriale assicura il lavoro; la libera circolazione di merci e di forza lavoro assicura i prezzi migliori a parità di prodotto; il rispetto della eterna legge della domanda e dell'offerta garantisce l'efficienza, l'ottimo per tutti. Al contrario lo Stato, se dotato di iniziativa economica, assicura inefficienza, disonestà, lungaggini burocratiche e, alla fine, morte distruzione e disperazione. Il solo compito dello Stato è garantire l'efficienza del mercato con piccoli ritocchi qua e là quando occorre e una giusta dose di paternalismo verso i cosidetti "meno fortunati" assicurando loro, laddove strettamente necessario, quel minimo di vettovagliamento, di vestiario, di istruzione, di beni di consumo e di reddito perché non produca danni al Sistema.
La fine della società basata sull'industria fordista - che alimentava il successo dei partiti di massa di sinistra - e l'avvento della società terziarizzata del benessere diffuso e del consumismo compulsivo ha prodotto da un lato il declino dei partiti di sinistra sempre meno capaci di capire (almeno a livello di dirigenti) quello che stava succedendo e il risorgere, sempre più potente, dell'ideologia corporativista. Specie di quella nazionalista e di quella liberista. E' accaduto praticamente ovunque ed è accaduto, pur con qualche lentezza, anche in Italia.

Qui. Ora.
Il recente risultato delle elezioni italiane ha fotografato in pieno questo stato di cose.
D'altra parte sono decenni che i partiti fanno a gara su chi è più corporativista.
Berlusconi, per tenerci sul recente, ha fondato la sua prima, vittoriosa, campagna elettorale con la propaganda secondo cui era operaio, imprenditore, attore, casalingo. Era il "tutto" che assicurava a tutti libertà e benessere. Il corporativista liberista.
La Lega, poco prima, ha negato l'esistenza dei conflitti di classe fondando il suo successo sull'idea di territorio e di popolo (padani, come il Grana), cioè di nazione. Oggi, grazie ai buoni uffici del giovane rampante Salvini, la Lega (non più "nord") ha abbandonato l'opzione padana e si è concentrata su quella più redditizia italica. Ma sempre corporativismo nazionalista è e resta.
Il Partito democratico, volendo fondere il corporativismo cattolico e quello liberista, ha cercato una "terza via" che però, siccome non esiste, ha finito per fare trionfare il corporativismo liberista (la recente questione del Partito della Nazione, tirata fuori da Renzi qualche tempo fa, né è la prova più evidente).
E, infine, abbiamo il corporativismo a cinque stelle, che è corporativismo liberista con più accesi colori paternalisti (il reddito di cittadinanza o come si chiama) e moralistici ("onestà, onestà, onestà").
Tutti questi corporativismi hanno differenze tra loro. Ma tutti condividono l'impostazione di fondo di una società orgnicista fondata sul modello di Menenio Agrippa.
Le differenze sono di poco conto e sono per lo più confinate ad elementi personalistici. Ma l'elemento comune, la visione del mondo secondo una logica organicista, quello è un elemento unificante, assolutamente potente e in grado di metterli d'accordo tutti. Non esistono più partiti anti "sistema", piuttosto esistono partiti con differenti valutazioni sul "sistema".
Quel che c'è va benissimo, occorre solo qualche aggiustamento.
E' per questo motivo che mi trovo tranquillo e, a tratti disinteressato o divertito, (come moltissimi altri a dire il vero), circa quello che succede a livello politico in questo paese.
Questi qua - sedicenti democratici, fascioleghisti, onestissimi cinquestellisti, satrapi berlusconiani - non possono che andare d'accordo; non possono che mettersi d'accordo per il superiore bene del "popolo" che non arriva a fine mese o che ci arriva e torna indietro.
Che ci siano di mezzo i vari Renzi, Salvini, Di Maio, Berlusconi è un dettaglio dell'industria dello spettacolo nella quale siamo immersi, sono solo nomi. Etichette da mettere (e cambiare all'occorrenza) su barattoli che hanno lo stesso contenuto e che è desiderato, prima di tutto, dall'elettorato.
Che vuole le strade senza buche, i ladri in galera, l'iphone e poco altro.